Breve genesi della copertura metallica che ha stravolto lo stadio di Napoli in modo irreparabile.
Quando si decise di aggiungere la copertura sullo Stadio San Paolo di Napoli, in vista dei Mondiali di Italia 90, nessuno pensava che si sarebbe rivelato un intervento devastante per l’immagine dell’impianto.
Il tetto era una soluzione all’epoca soprattutto funzionale (non rientrava in effetti nei requisiti FIFA per l’organizzazione di quei Mondiali) e il progetto iniziale prevedeva tutt’altro rispetto a ciò che avremmo visto successivamente.
Per ideare una copertura completa sullo stadio di Napoli, allora chiamato ancora San Paolo, il concept firmato nel 1988 dall’arch. Fabrizio Cocchia, figlio di Carlo (progettista dello stadio originale, 1959), e dall’arch. Giuseppe Squillante, prevedeva una sorta di velario luminoso e molto leggero nell’aspetto, realizzato in policarbonato ma ancorato con semplicità tramite pochi elementi verticali metallici che scendevano verso il terreno, all’esterno dell’edificio-stadio.
In quei mesi di pianificazione pre-Italia 90 però gli interessi in gioco erano soprattutto influenzati dal bando dei lavori e dal prezzo del ferro al kg: il progetto di Cocchia-Squillante prevedeva l’utilizzo di 2 milioni di kg di ferro; la struttura che sarà poi realizzata finirà per utilizzarne 8,5…!
Il concept del 1988 venne bocciato e sullo stadio del Napoli si scelse di apporre una pesantissima e brutale gabbia metallica, firmata dall’ing. Luigi Corradi, issata su 33 pilastri reticolari esterni e con l’aspetto (purtroppo ingombrante) di un’impalcatura temporanea più che di un elemento in armonia con l’esistente. Costò da sola 15 miliardi di lire (all’interno di un intervento di restyling che ne doveva costare 12 e che invece superò complessivamente i 200) e finì per nascondere quasi del tutto il delicato catino originale dello stadio, trasformando l’aspetto dell’impianto in un accrocchio di reticoli ferrosi che avrebbero stravolto l’immagine dell’edificio per sempre.
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Oltre alla scellerata decisione della struttura per la copertura, la volontà di ampliare la capienza dell’impianto portò alla costruzione dell’ormai famigerato terzo anello, che si agganciava ai nuovi piloni esterni di ferro.
Proprio per questo finì per non essere mai utilizzato, dato che creava una conseguenza statica deleteria propagando vibrazioni e instabilità verso l’intelaiatura complessiva e sull’intero edificio (oltre che alle case vicine, come se lo stadio funzionasse da cassa di risonanza).
- per approfondire, leggi il mio articolo di approfondimento “Breve storia della decadenza dello Stadio San Paolo di Napoli”, sulla rivista l’Ultimo Uomo
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Cover image: Vista della nuova copertura dello Stadio San Paolo di Napoli alla vigilia dei Mondiali di Italia 90 (photo Caoduro Lucernari)
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