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Marine Stadium: il gioiello nascosto di Miami

Un’architettura sportiva indomita che ha resistito allo scorrere impetuoso del tempo.

Se pensassimo a Miami per qualche secondo, sarebbe quasi spontaneo identificare gli elementi iconici di una città soprannominata Magic City, seguendo un classico processo esperienziale: Ocean Drive con le sue luci al neon, l’Art Déco District che riunisce oltre 900 edifici in stile “Tropicale” (compreso il Cavalier Hotel, 1936, progettato da Roy F. France), e ancora la Freedom Tower (George A. Fuller, Schultze & Weaver, 1925) e il Coral Gables Biltmore Hotel (Schultze & Weaver, 1926) nello stile “Mission Revival”.

Quartieri, strade, edifici talmente simbolici da rappresentare perfettamente il paradigma glocale, stabilendo una connessione capace di oltrepassare la città e raggiungere quell’immaginario collettivo reso così celebre anche dall’industria cinematografica. A Miami è stata girata la famosa serie Miami Vice (1984-1989), la stessa da cui hanno tratto ispirazione le “Vice Nights” della franchigia NBA dei Miami Heat (di cui abbiamo parlato qui, su Archistadia) – ovvero il rebranding dell’attuale AmericanAirlines Arena (1999) in una riproposizione del passato finalizzata ad omaggiare l’atmosfera della vecchia Miami Arena. Un rimando, in questo caso allo scenario degli anni Ottanta, strettamente collegato allo sport, poiché proprio il 1983 viene per esempio segnato dal debutto nei Dolphins (franchigia NFL, football americano) del rookie Dan Marino (sarà lui a condurre la squadra a un passo dalla vittoria del Super Bowl 1984).

Andando ancora indietro nel tempo, il legame fra estetica e sport per Miami è già molto forte negli esaltanti, contradditori e drammatici anni Sessanta, che aprono la strada allo sport professionistico della città, partendo da un ambizioso punto di svolta, che si concretizza nel 1963: il progetto del Marine Stadium.

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Vista aerea del Marine Stadium di Miami (photo via National Marine Manufacturers Association)

Ambizioso, non solo per la sua funzione anticonformista e per la sua estrema specificità (la struttura sarà dedicata in particolare alle gare di motonautica) ma anche per la genesi progettuale alla base della sua costruzione. Per comprenderlo meglio, dobbiamo pensare che gli anni ’60 erano i tempi della nuotatrice-attrice (e stella della Metro Goldwyn Mayer) Esther Williams, e Miami intendeva collocarsi fra i primi posti delle mete vacanziere in questo nuovo boom di passione popolare per la vita da spiaggia.

Da città debolmente legata al proibizionismo, e per questo fortemente attrattiva, era passata attraverso il limbo della Grande Depressione post-1929, rialzandosi subito dopo sospinta da un’effervescente vitalità poi divenuta, anche sotto l’aspetto architettonico, la sua caratteristica principale. Miami era un luogo davvero dinamico, ma contraddistinto da conflitti, illegalità e una segregazione non differente da molte altre città del Sud degli Stati Uniti.

Ed è proprio quest’ultimo tema ad interessare paradossalmente il Marine Stadium. La sua posizione sull’isola di Virginia Key è peculiare per la città: un luogo oggi famoso per il noto Seaquarium (1955) ma nel 1945 location della prima spiaggia per afroamericani di Miami fortemente voluta dal giudice Lawson E. Thomas, all’interno di un ampio parco che nel 1982 la città di Miami sarà costretta a chiudere, motivando la scelta per alti costi di manutenzione(¹).

In quell’area, a brevissima distanza dal Virginia Key Beach Park, nel dicembre 1963 viene inaugurato lo stadio intitolato allo yacht designer Ralph Munroe.

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Uno schizzo di progetto del Marine Stadium di Miami.

Una struttura sorprendente, non solo per quel bacino appena dragato che si trasforma in una sorta di Indianapolis dell’acqua, ma piuttosto per quella grande tribuna plasmata con uno dei materiali da costruzione che Hilario Candela, allora ventottenne progettista dello stadio, ha definito tra i più “onesti”: quel calcestruzzo armato utilizzato così abilmente da maestri quali Torroja, Le Corbusier e Pier Luigi Nervi. Lo sbalzo, la raffinata sezione dell’impianto, come rivelato dallo stesso architetto di origine cubana, sono l’esito di una suggestione progettuale ispirata all’Hipódromo de la Zarzuela a Madrid (1941), manifesto del “racionalismo madrileño” (progettato dagli architetti Carlos Arniches Moltó e Martín Domínguez Esteban in collaborazione proprio con l’ingegnere Eduardo Torroja) e ancora da opere di Charles Édouard Jeanneret o Pier Luigi Nervi, e dall’esperienza avvenuta durante il tirocinio svolto dallo stesso Candela nello studio di Max Borges Jr, a Cuba.

È attraverso l’analisi di questi grandi progettisti che Candela disegna il profilo dello stadio, la cui copertura appare increspata come la superficie d’acqua che sovrasta, con un leggero richiamo alle vele delle imbarcazioni. La scelta cadde sull’uso del cemento per resistere all’ambiente corrosivo, nonostante la prima volontà tendesse verso l’acciaio come si usava negli stadi di baseball, e il costo ammontò a 960mila dollari, addirittura inferiore al budget destinato di 1 milione.

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Tuttavia, ciò che sorprende gli spettatori è l’originalità del luogo, la distesa d’acqua al posto di un campo verde e le lontane luci della città che si riflettono rischiarando le serate. Il Marine Stadium diventa così una delle attrazioni di Miami. Centinaia di automobili intasano il William M. Powell Bridge, il parcheggio è spesso gremito e la tribuna affollata di persone (in tutto circa 6.500 posti) che incitano, applaudono, si esaltano e si emozionano. Sì, perché nello stadio progettato da Candela le emozioni si susseguono continuamente: dalle competizioni mondiali di motoscafi (con la scomparsa del pilota James Tapp nella gara d’inaugurazione) agli incontri di pugilato; dall’abbraccio fra Sammy Davis Jr. e Richard Nixon nel 1972 al concerto di Jimmy Buffett nel 1985, fino alle indimenticabili performance musicali da parte di Queen e Beach Boys. Grazie a un palcoscenico galleggiante, lo stadio dimostra infatti di essere in grado di adattarsi alle diverse esigenze rappresentando, con una logica al tempo straordinariamente innovativa, il perfetto (e più incredibile) edificio destinato sia allo sport che ad eventi di vario genere.

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Un momento di gara all’ombra della tribuna del Marine Stadium, circa fine anni ’60 (photo by Alan Band/Fox Photos/Getty Images via Metalocus)
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La situazione attuale del Marine Stadium, un luogo della cultura underground di Miami.

Con il trascorrere del tempo il Marine Stadium di Miami diviene icona, e per questo inserito persino nelle sequenze di vari lungometraggi. Clambake (1967), diretto da Arthur H. Nadel con Elvis Presley, ne è un esempio, ma anche l’italiano Pari e dispari (1978) con la mitica coppia Bud Spencer-Terence Hill e la regia di Sergio Corbucci (ne abbiamo parlato qui, su Archistadia).

Per il Marine Stadium sembra non poterci essere fine e immagini e foto d’epoca ne testimoniano una vitalità unica. Fino al 1992. In quell’anno Miami viene travolta dal più distruttivo uragano della storia della Florida, l’uragano Andrew. 65 persone perdono la vita, i danni sono ingenti e molti edifici della città vengono devastati dalla forza di una catastrofe naturale di categoria 5. Fra questi anche il Marine Stadium, che viene danneggiato dai forti venti e ridotto in una situazione critica ma senza una totale compromissione della struttura. Passato l’uragano, lo stadio di Candela è ancora lì, con la sua riconoscibile sagoma che svetta in mezzo alla distruzione ma nonostante tutto, anche per via di alcune decisioni meramente amministrative, le luci dell’impianto si spengono proprio in quell’anno, che sancisce l’inizio di una fase di vuoto che lascerà il segno su questo luogo.

Quasi fosse un personaggio pubblico prima assurto all’apice e poi rovinosamente decaduto, il vandalismo inizia a conquistare la struttura del Marine Stadium rischiando di depauperare il suo grande valore nella memoria collettiva. Da architettura da ricordare diviene (per alcuni) un edificio-modello del passato, impossibilitato a competere con l’altra celebre attrazione dell’isola, il già citato Seaquarium. Il degrado, sempre più marcato, fornisce persino la sponda per alcune ipotesi di demolizione, puntualmente bloccate grazie all’intervento di quella comunità locale ancora presente e affezionata a ciò che il Marine Stadium ha sempre rappresentato.

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I graffiti e la street art che hanno ormai colonizzato la tribuna del Marine Stadium di Miami (photo by Jessica Smetana / Sports Illustrated)

Proprio questa comunità, coordinata dall’architetto Hilario Candela, dà vita il 20 febbraio 2008 all’associazione “Friend of Miami Marine Stadium” (FMMS), fondata con lo scopo di preservare l’architettura dell’impianto e promuoverne il rinnovamento. L’impianto abbraccia una “nuova vita” diventando la casa di artisti di strada, atleti di parkour e skater della zona. Addirittura, con l’arrivo di personalità riconosciute nel campo della cultura underground, il Marine Stadium acquisisce una nuova valenza, tornando a rappresentare a distanza di anni un’icona (sebbene diversa) della città. Artisti come Dabs Myla, RISK, Ron English, The London Police e RONE, attraverso le loro opere rilanciano l’interesse nei confronti di questa architettura, stabilendo un secondo 5 Pointz e concretizzando le parole di Leonardo da Vinci: “L’arte non è mai finita, ma solo abbandonata”. L’impianto viene così inserito nei registri del National Trust for Historic Preservation e del Worlds Monuments Fund, per poi essere addirittura il protagonista di un’installazione luminosa nel 2015.

Oggi, nonostante diversi progetti di riqualificazione mai avviati – a fronte di un budget di 121 milioni di dollari – lo stadio acquatico di Miami resta un’incredibile e motivante sfida per i progettisti, che potranno cimentarsi non solo con una delle architetture più longeve di una città in continuo cambiamento ma soprattutto con un edificio simbolico, che ha da sempre dimostrato di essere parte di una comunità e che, come espresso perfettamente da un graffito, di essere ancora “alive” (vivo) nonostante tutte le difficoltà.

(¹) grazie alla nascita di un Trust, istituito dalla Miami City Commission, il parco è stato ufficialmente riaperto nel febbraio 2008

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