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Wave Pool: sostenibilità e prospettive degli stadi del surf

L’esperienza di URBNSURF Melbourne può accelerare alcuni cambiamenti tecnologici molto importanti.

Abbiamo iniziato da qualche tempo ad approfondire il tema delle “Wave Pool”, veri e propri stadi/impianti dedicati al surf con la capacità tecnologica di ricreare le onde per le gare e slegarsi, per certi aspetti, dall’imprevedibilità delle acque in mare aperto. E dopo aver accennato all’approdo di una tappa del Mondiale in una nuova wave pool in Australia, è sempre più evidente come il successo di queste strutture stia favorendo un veloce sviluppo sul piano tecnico e, soprattutto sul lato della sostenibilità.

Sul lato ingegneristico, e facendo riferimento al modello “Cove” progettato dall’azienda Wavegarden, si stanno raggiungendo risultati decisamente interessanti in campo ambientale ed economico, anche comparandoli con altri sistemi concorrenti nella generazione meccanica delle onde: un passo avanti importante, in particolare per le criticità finanziarie che altre wave pool pioniere del passato si portavano dietro.

Come scritto nel precedente articolo di questa serie, tali infrastrutture hanno avuto un’evoluzione fatta di successi e brusche frenate, a causa di una non sempre efficiente gestione economica accompagnata da una destinazione inizialmente ludica e solo successivamente “competitiva”.

Wave Pool, l’importanza di essere sostenibili

Attraverso queste problematiche e la chiusura di varie wave pool negli anni, il progetto della società iberica Wavegarden comincia nel 2005 con lo scopo di realizzare qualcosa di profondamente moderno, distante da quei generatori pneumatici che continuano a caratterizzare alcune tipologie di wave pool. La grande differenza rispetto a questi più classici “generatori meccanici di onde” consiste infatti in tre fattori: il sistema elettromeccanico, l’energy regeneration e il consumo in fase di pausa.

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Willis Droomer (photo by Matt Dunbar / courtesy of Wavegarden / URBNSURF)

Willis Droomer (photo by Matt Dunbar / courtesy of Wavegarden / URBNSURF)

Con le infrastrutture pensate da Wavegarden c’è una minima perdita di energia durante la trasmissione delle forze dalle macchine all’acqua, e al contempo si ottiene un guadagno energetico sfruttando le forze idrodinamiche quando si creano le onde. Allo stesso tempo, il fabbisogno energetico necessario alla macchina tra un set di onde e il successivo è praticamente trascurabile, rendendo ancora più efficiente l’intero processo. Per contro, nel classico sistema pneumatico c’è una forte perdita di energia durante la produzione delle onde, con un consumo che rimane stabile anche nel periodo di standby invece di diminuire.

Secondo uno studio incentrato sul confronto tra i due modelli(1), la tecnologia Cove da 46 moduli è tipicamente contraddistinta da set di 4 onde prodotte da entrambi i lati del bacino (quindi 8 in totale) con un intervallo di circa 60 secondi che intercorre tra ognuno di essi. Considerando 102 secondi utili per l’intero processo (generazione del set e periodo standby), si possono creare 8 onde con una potenza pari a circa 13 kWh (tenendo conto di un consumo di 0,28 kW al secondo da moltiplicarsi per i 42 secondi di attività necessari per generare il set, al quale vanno poi aggiunti 1,33 kWh di consumo standby).

Un dato estremamente diverso e soprattutto conveniente se comparato a quello di una classica wave pool dotata di generatori pneumatici: una tecnologia con un ciclo differente (in 77 secondi possono essere generate 6 onde) caratterizzata da un funzionamento che incrementa il fabbisogno energetico, in questo caso pari a circa 92 kWh (56,94 kWh per creare il set e 33,53 kWh in fase standby).

Nel complesso, se consideriamo una sessione di un’ora (280 onde generate per entrambi i modelli), la differenza tra le due tecnologie diventa ancora più marcata, con un risparmio di 3.869 kWh a favore del sistema Wavegarden Cove (455 kWh contro i 4.324 kWh dell’altra versione)(2). A questo aggiungiamo la possibilità di integrare la wave pool con una rete di energia rinnovabile, come avviene già negli impianti di Bristol, Seul, Melbourne (quindi proprio URBNSURF), Sion e nell’headquarter della stessa società, il tutto diviene ancora di più sostenibile a medio e lungo termine.

Un aspetto che dimostra il coinvolgimento di un sempre più consistente numero di attori. Bar, ristoranti, spazi per eventi sono già una realtà che fa da contorno a queste wave pool e in futuro si prevede la costruzione di resort, hotel, residenze e centri commerciali che, almeno potenzialmente, possano conferire un valore completamente diverso a questo tema.

Senza dimenticare la possibilità, per queste strutture, di rappresentare hub nella preparazione dei surfisti (ancora più importanti ora che il surf è diventato sport olimpico), ma anche di definirsi come veri e propri stadi/cittadelle di questa disciplina.

Surfare lontano dall’oceano?

È inevitabile sottolineare che la grande novità delle wave pool consista nel permettere un approccio al surf in luoghi distanti dai classici spot di mare, e in condizioni di totale sicurezza.

L’italiano Leo Fioravanti surfa nella wave pool di Alaïa Bay, in Svizzera, realizzata da Wavegarden

In Australia, ad esempio, pur essendoci numerosi luoghi in cui surfare (l’iconico Bells Beach, per esempio), un impianto di questo tipo sta riscontrando sempre più successo, consentendo non solo un primo approccio al surf ma anche fornendo onde di qualità (tutto l’anno) per i surfisti più esperti, compresi quelli della nazionale australiana e ovviamente della WSL.

Lo step successivo è chiaramente quello inerente alle competizioni. Il Surf Ranch ne ha dato una prova, ma quali sono le potenzialità di un Wavegarden Cove in questo ambito? In effetti la novità di questa wave pool si celano proprio qui, con una tecnologia talmente innovativa da permettere l’organizzazione di un contest molto diverso rispetto a quello visto nell’impianto di Kelly Slater. In quel caso, considerando ad esempio l’edizione 2020, i surfisti si affrontavano entrando in acqua uno alla volta. Ogni singolo turno comprendeva un’onda sinistra e un’onda destra (per un totale di quattro tentativi nellefasi finali). L’atleta con il punteggio più alto, sommando le due migliori onde,avanzava al turno successivo sino a raggiungere la finale.

Ovviamente, questo tipo di format ha delle differenze rispetto a quelli che tipicamente contraddistinguono i contest in spot naturali. La presenza di un solo surfista in acqua, ad esempio, è molto più affine a sport come il pattinaggio artistico su ghiaccio, dove ad una prestazione corrisponde uno score, evitando però la competizione diretta con un avversario.

Nel surf tradizionale gli spettatori sono abituati a vedere heat (batterie) composte in genere da due, tre o quattro surfisti; scontri diretti che innalzano senza dubbio il pathos della gara. Ma come replicarlo in una wave pool? Lo abbiamo chiesto direttamente a URBNSURF, che proprio grazie alla tecnologia Cove di Wavegarden sperimenterà per primo, almeno a livello WSL, un nuovo format in una piscina ad onda dinamica. La conformazione del bacino e il funzionamento del “wave generator” di questo impianto consentiranno infatti di realizzare una vera e proprio replica di una classica gara nell’oceano. In totale ci saranno 80 surfisti (divisi in 40 maschi e 40 femmine) che si affronteranno in heat con quattro atleti ciascuno.

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(photo by Andy Myers / courtesy of Wavegarden / URBNSURF)

(photo by Andy Myers / courtesy of Wavegarden / URBNSURF)

La tecnologia permetterà di generare diversi set, garantendo quattro onde per ogni surfista. Le migliori due onde di ognuno verranno conteggiate e i due migliori classificati per ogni batteria avanzeranno al turno successivo, fino alla finale: una straordinaria innovazione al quale però si aggiunge un altro aspetto. Come spiegato nel precedente approfondimento, il surf tradizionale è da sempre collegato alle condizioni dell’oceano. I cosiddetti “waiting period” sono stati integrati proprio per questo, definendo così un intervallo di giorni in cui è possibile avviare la gara. In pratica gli organizzatori possono iniziare il contest il giorno 1 per poi sospenderlo per una settimana, in attesa di un periodo più favorevole che quindi garantisce delle migliori performance.

Questa tipologia, ovviamente consolidata – e accettata – dagli appassionati, può però generare qualche criticità dal punto di vista televisivo. Gli streaming dei contest sono generalmente lunghi, e il fattore “variabilità”, nonostante i grandi passi effettuati nel campo delle previsioni, non consente una programmazione temporalmente definita.

Ed ecco la novità di URBNSURF. Grazie alla struttura Cove, è possibile generare set di onde a cadenza prestabilita, comprimendo la durata di ogni heat in poco più di 18 minuti (inferiore rispetto ai 30 minuti di una batteria tradizionale) e concludendo l’intero contest in meno di 8 ore. Per tale ragione la gara è stata programmata esclusivamente per il giorno 10 dicembre, assicurando ogni attore coinvolto (lega, sponsor, spettatori, ecc.) riguardo alla precisa estensione temporale del contest.

Ovviamente, tale format, caratterizzato comunque da una notevole complessità, è stato già sperimentato da URBNSURF in passato. Nell’impianto di Melbourne sono stati infatti organizzate gare del Boardriders Club, tra cui la prestigiosa Australian Boardriders Battle, ma anche competizioni come il Rip Curl GromSearch e lo State Titles, oltre a match uno contro uno durante il seguitissimo Winter Jam, in cui al surf si sono affiancate anche esibizioni di snowboard(3).

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(photo by Andy Myers / courtesy of Wavegarden / URBNSURF)

(photo by Andy Myers / courtesy of Wavegarden / URBNSURF)

Quest’ultimo passaggio è fondamentale, poiché la vision di URBNSURF, in procinto di aprire una nuova wave pool a Sidney (sempre con tecnologia Wavegarden), è proprio quella di creare un innovativo hub dello sport, costituendo allo stesso tempo un community center in cui organizzarefeste, concerti e after party.

Le aspettative per il Rip Curl Pro URBNSURF si attestano su circa mille spettatori paganti, tuttavia, data la vendita dei ticket ancora in corso, l’impianto, estremamente flessibile grazie ai vasti open space, potrebbe anche adattarsi ad un numero ancora maggiore(4), con la possibilità di aggiungere delle tribune temporanee.

Delle qualità che ci riportano ad una considerazione precedente. Quel “benvenuti nel futuro” che ora possiamo estendere anche alle competizioni. Sì, perché è inevitabile sostenere che tali novità avranno (e stanno avendo) una ricaduta sulla popolarità e il marketing di questa disciplina sportiva, mai come ora avviata verso qualcosa di nuovo, il cui confine, anche dal punto di vista architettonico, è ancora tutto da esplorare.

(testo a cura di Luca Filidei, revisione e impaginazione a cura di Antonio Cunazza)

Ringraziamo Wavegarden e URBNSURF per la gentile e fondamentale collaborazione, e per averci fornito le immagini incluse in questo articolo.

URBNSURF Melbourne è qui, su Google Maps

Gli altri articoli di questa serie:

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Vista aerea del complesso URBNSURF di Melbourne (photo courtesy of Wavegarden / URBNSURF)

Vista aerea del complesso URBNSURF di Melbourne (photo courtesy of Wavegarden / URBNSURF)

(1) i modelli sono identificati da dati reali estrapolati da wave pool in funzione

(2) i 455 kWh includono il consumo energetico dovuto al trattamento dell’acqua e al funzionamento degli altri sistemi della wave pool (illuminazione, riscaldamento, sensori, ecc). Se questi venissero esclusi un Cove da 46 moduli registrerebbe un fabbisogno di 325 kWh

(3) Per l’occasione è stata realizzata una struttura temporanea

(4) La capienza massima di URBNSURF si attesta oltre i 4mila ospiti

Cover image: (photo by Andy Myers / courtesy of Wavegarden / URBNSURF)

© Riproduzione Riservata

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