Un punto di vista alternativo sulla storica corsa di Carlo Mazzone sotto la curva dell’Atalanta.
Sono trascorsi vent’anni da quel pomeriggio e, se non fosse per Marcell Jacobs, quello scatto di quasi 60 metri sarebbe ancora la corsa più conosciuta nella storia recente dello sport italiano, o almeno così pensa Antonio Filippini a distanza di tempo.
Il 30 settembre 2001, Carlo Mazzone (allenatore del Brescia) corre fin sotto la curva dei tifosi dell’Atalanta, appena i suoi trovano il gol del pareggio 3-3 nei minuti di recupero, al termine di un derby che definire “sentito” è un eufemismo. La corsa di Mazzone, e i gesti di sfida ai tifosi bergamaschi, sono la reazione a una valanga di insulti che gli erano arrivati durante tutto il match, complice anche il parziale di 3-1 in favore dell’Atalanta a fine primo tempo.
All’epoca, e anche oggi, quell’incredibile scatto (soprattutto per un uomo di 65 anni) sembrò l’epitome di un modo genuino di vivere il calcio che faceva parte di un passato ormai sulla via dell’oblio, e che sarebbe quasi del tutto scomparso di lì a poco. Fu anche, tecnicamente, una delle più forti scene di scontro verbale fra campo e tribune che si ricordano nel nostro calcio (e in generale un gesto non edificante per la figura dell’allenatore romano), e costò poi cinque giornate di squalifica a Mazzone, che già rientrando verso la sua panchina accolse con le mani alzate lo sguardo dell’arbitro Pierluigi Collina che lo invitava a lasciare il campo.
Quel momento, però, non va solo visto come uno storico atto di orgoglio a difesa della propria squadra, nel derby contro gli acerrimi rivali di sempre. Ma forse, anche come un gesto che serviva a Mazzone per riavvicinarsi al tifo bresciano, con il quale all’epoca c’era un discreto distacco.
In effetti, il racconto mediatico del paladino dei propri tifosi rimase in prima pagina per molto tempo, ma stride ampiamente con la realtà della squadra delle Rondinelle e della tifoseria di quegli anni. Nella stagione precedente, 2000/2001, Mazzone aveva guidato il Brescia al più alto risultato della sua storia (ottavo posto e qualificazione all’Intertoto) con un giovane Andrea Pirlo regista, Dario Hubner, Aimo Diana, e Roberto Baggio.
Se famo er 3-3 vengo sotto ‘a curva
(Mazzone si rivolge alla curva dell’Atalanta quando Roberto Baggio segna il momentaneo 2-3, a un quarto d’ora dalla fine)
In realtà era anche un Brescia che gli Ultras non amavano. O meglio, la curva bresciana era in forte contestazione con la presidenza di Gino Corioni, presidente appassionato che sognava in grande seppur con pochi mezzi, ma che voleva fare di testa sua e considerava il club come il suo giocattolo. Corioni si era messo di traverso anche agli occhi della municipalità, perché già all’epoca pretendeva uno stadio nuovo e criticava l’apatico operato comunale sul tema (una questione ancora irrisolta, fra l’altro).
Ma la frattura fra Corioni e gli ultras si aprì soprattutto sulla vicenda del caro-biglietti, con Mazzone schierato apertamente dalla parte della gestione del presidente: uno dei tanti episodi di “aziendalismo” che gli ultrà bresciani non gli perdonarono.
La stessa gara di ritorno della finale di Intertoto 2001 (contro il Paris Saint-Germain) fu simbolo di questo scontro: Corioni aveva pubblicamente denunciato gli ultras pochi giorni prima, e la reazione della curva fu una fumogenata così fitta da costringere l’arbitro a ritardare di 15 minuti l’inizio di Brescia-PSG (con il rischio del rinvio, o peggio). Mazzone non la prese bene, arrivò a un passo dalle dimissioni, ma Corioni lo convinse a ripensarci.
Era il 21 agosto 2001, Brescia-PSG finì 1-1 (reti di Aloisio per i francesi e pareggio, inutile, di Baggio) e consegnò ai francesi la qualificazione al tabellone di Coppa UEFA, dopo lo 0-0 del Parc des Princes. Poco più di un mese dopo, alla quinta giornata del campionato di Serie A arrivò il derby casalingo contro l’Atalanta. Il resto, come si dice, è storia. Ma probabilmente è giusto rileggerla considerando il contesto, a distanza di tempo e con le acque un po’ più calme per tutti.
Immortalato nelle immagini della storia come colui che tentò disperatamente di fermare Mazzone, il dirigente accompagnatore di quel Brescia, Cesare Zanibelli, raccontò tempo dopo «Provavo a placcarlo, ma mi scappava da ridere!». Perché alla fin fine, di quella corsa rimane il senso istintivo e folkloristico di un momento irripetibile (e di un gesto sincero, al di là di tutti i retroscena).
Si dice che nella vita di un uomo i giorni indimenticabili siano cinque o sei in tutto, e il resto fa volume. Il 30 settembre 2001 è forse uno di quei giorni, per Carletto Mazzone.
Grazie a Giuseppe Barbato per la preziosa collaborazione nel ricostruire alcuni retroscena per questo articolo.
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