Un estratto dal libro “Wembley, la Storia e il Mito”.
Inaugurato il 28 aprile 1923, lo stadio di Wembley è giunto al traguardo dei 100 anni di vita ma con un’eccezione rara e affascinante: lo stadio originale oggi non esiste più, e celebriamo ugualmente il suo successore (inaugurato nel 2007) come fossero insieme un’entità unica, indivisibile, parte di un solo percorso storico.
In realtà, questa è la vera straordinaria forza di Wembley, unico stadio al mondo capace di andare oltre sé stesso ed essere ormai percepito e conosciuto come “luogo” prima che come “edificio”. In 100 anni di storia, Wembley è stato scelto come luogo del mondo, dove ospitare e far succedere gli avvenimenti più importanti della storia dello sport e della cultura del Novecento.
In un percorso che continua ancora oggi, lo stadio nazionale inglese è il simbolo di ciò a cui ambisce l’architettura: creare qualcosa che vada oltre sé stessa ed entri nella storia anche dopo che non esisterà più. Wembley è certamente l’unico impianto sportivo ad aver conquistato questo onore, ed è anche una delle pochissime architetture moderne/contemporanee che hanno raggiunto questo status immortale.
Per celebrare, raccontare e scoprire la storia centenaria di Wembley, ho scritto un libro dal titolo “Wembley, la Storia e il Mito” (ed. Urbone, 2021): 160 pagine, con oltre 50 immagini tra fotografie, scatti d’epoca, memorabilia e disegni, che percorrono la genesi, la progettazione, la realizzazione e il percorso di questo stadio, attraverso storia, architettura, sport e cultura pop.
Con la prefazione di Fabio Capello, e i contributi di arch. Sir Norman Foster, Giovanni Capuano, Roberto Gotta e Massimo Marianella.
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Qui di seguito un breve estratto (dal capitolo 3, “L’epica sportiva di Wembley”):
[…] All’epoca il “marketing” correva sui colori e fra i disegni dei manifesti, dei piccoli poster e delle cartoline, o nelle illustrazioni sui quotidiani, e addirittura, in occasione della finale di Coppa d’Inghilterra del 1924, l’Empire Stadium venne paragonato per dimensioni e imponenza al transatlantico Aquitania: varata nel 1913, l’RMS Aquitania era la risposta della Cunard Line alle tre storiche navi della rivale White Star (Olympic, Britannic e… sì, Titanic). Aveva servito anche come ospedale militare nel corso della Prima Guerra Mondiale, e in una famosa illustrazione veniva messa accanto al profilo di Wembley con l’orgogliosa descrizione “lo stadio ha una lunghezza di 900 piedi, una distanza ampiamente superata dall’Aquitania”.
Era una celebrazione a vicenda di entrambe queste due creazioni della Gran Bretagna di inizio Novecento, che dovevano rappresentare lo slancio morale e tecnologico ritrovato dopo i disastri del primo conflitto mondiale. Paradossalmente, però, la fine dell’Empire Exhibition (ottobre 1925) che celebrava anche quest’avanguardia tecnica dell’impero, avrebbe potuto significare la prematura fine di Wembley.
Il Governo decise di smantellare tutte le costruzioni messe in piedi per l’expo (che aveva avuto un gran successo di pubblico ma si era rivelata una voragine economica) e cedette l’area all’imprenditore Jimmy White per le operazioni di demolizione. Anche lo stadio era incluso e dopo appena tre anni di vita c’era la concreta possibilità di vederlo sparire per sempre.
L’appena 26enne Arthur Elvin, giovane imprenditore coinvolto nelle operazioni di smantellamento del sito, colse l’occasione della vita: nel 1927 la gestione dello stadio era finita in liquidazione e White si trovava in seri problemi finanziari, ed Elvin decise di acquistare l’impianto per 122mila sterline (oggi sarebbero circa 8 milioni) capendo le potenzialità sportive che nessun altro impianto del Paese poteva vantare.
Elvin puntava molto sul futuro delle corse dei levrieri che in quegli anni vedevano un vero e proprio boom nella passione della gente (v. cap. 17) ma, come testimoniato dalla finale del 1923, sarebbe stata l’annuale finale di Coppa d’Inghilterra a determinare il punto di partenza dell’epica sportiva di Wembley conosciuta in tutto il mondo.
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