Un luogo milanese dall’architettura unica e dall’atmosfera ancora oggi affascinante e sospesa nel tempo.
Sono le undici e mezza di mattina nel quartiere San Siro, e nel piazzale che omaggia Angelo Moratti si percepisce subito che c’è qualcosa di straordinario, un’atmosfera frizzantina come l’aria che si respira, anticipazione del subbuglio che avverrà nel pomeriggio. É il sabato che vedrà l’Inter sfidare la Roma, giornata numero otto del Campionato di Serie A: i folkloristici venditori ambulanti spopolano intorno al Meazza, appendendo sciarpe e magliette à la mémoire della partita, mentre lì, nello stadio, si procede zelanti con gli ultimi preparativi.
La nostra meta, però, non è quell’edificio che Rem Koolhaas definirebbe “bigness”, no, non scriveremo della Scala del Calcio, bensì di quell’architettura che si erge a poca distanza, il cui preludio è già visibile lungo via dei Rospigliosi. O meglio, era visibile. Perché ormai San Siro è terra di rivoluzioni – o gentrificazioni direbbe qualcuno, magari più pessimista.
Una ex landa desolata (con la sua bellezza, sia chiaro) inglobata dall’espansione meneghina, che in tale zona ambisce da sempre a conquistare un proprio sfogo, come a spostare un po’ più in là il proprio confine o limite che sia. È in questo scenario, intricato fino all’eccesso tra storie e conquistadores, che sono state demolite le vecchie scuderie incastonate tra le vie Axum, Capecelatro, Pessano e la già citata Rospigliosi. La stessa che poteva essere varcata grazie ad un sottopassaggio il cui scopo era collegare le stalle all’ippodromo del trotto, quello inaugurato nel 1925, chiuso nel 2015 e da sempre compagno dello stadio San Siro.
Ma fortunatamente non è andato tutto perso. Anzi.
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Oltrepassando il Meazza in una specie di circumnavigazione, spuntiamo in via Achille e laggiù, oltre il piazzale dello Sport, scorgiamo il perché del nostro viaggio. Ovvero quell’ippodromo del galoppo progettato dall’architetto Paolo Vietti-Violi, nato in Svizzera nel 1882 con una storia tutta da scoprire. Il complesso appare sontuoso, elegante, persino spadroneggiando nella sua affascinante introversione, seminascosto com’è dalle alte alberature che impreziosiscono la strada e il parco al suo interno(1).
Ci avviciniamo, avviandoci verso l’entrata che corrisponde alla tribuna secondaria. Il cancello è spalancato, un sinonimo di accoglienza, e poco più dietro, nella piazza che ospita il celebre Cavallo di Leonardo(2), troviamo lo stand da cui procediamo con la registrazione e l’acquisto dei biglietti. Nel pomeriggio, verso le quindici, partirà la tradizionale habitué delle corse, ma resta ancora una manciata di minuti a mezzogiorno, siamo in notevole anticipo, e così ci dedichiamo all’esplorazione di un “cittadella dello sport” già capace di stupirci.
Intorno a noi, avvolti dal silenzio tipico di una giornata ancora da cominciare, lo spazio è arricchito dai cosiddetti Cavalli d’Artista: riproduzioni (e reinterpretazioni) in scala della famosa scultura che erano stati realizzati in occasione del Leonardo Horse Project, un’iniziativa ideata da Snaitech, proprietaria del sito, in occasione delle celebrazioni per #Leonardo500. Qui, dispersi nel parco dell’ippodromo, se ne trovano di ogni aspetto, tutti selezionati dalla curatrice artistica Cristina Morozzi.
Le varie opere, un melting pot di eclettismo, moda e fantasia applicate con una visione estremamente contemporanea, evocano, ognuno con il proprio (e personalissimo) stile, ciò che il designer ha voluto esprimere, o meglio indurci a riflettere. In fondo, questa installazione, che poi prosegue anche davanti alla tribuna principale, rappresenta un’anticipazione di quello che avviene e che definisce l’ippodromo, di sovente architettura generatrice di introspezione, distante soprattutto temporalmente dalla caotica ed espressamente mediatica quotidianità cittadina.
Eppure, già in questo piazzale dominato dall’imponente monumento ispirato ai disegni di Leonardo, si avverte anche l’apprezzabile sforzo di allinearsi ai tempi, alla modernità appunto, incrementando la mixité dell’ippodromo non solo attraverso le opere citate ma stabilendo un dialogo tra ciò che c’era prima e il presente, raccontando il valore di questo edificio per Milano e non solo. Una serie di tavole, esposte lungo un percorso, identificano alcuni passaggi fondamentali, sottolineando la valenza di tale architettura nell’immaginario cittadino sin dalla sua inaugurazione nel 1920.
Perché ciò che si comprende da subito, una volta varcato l’ingresso, è la straordinarietà di un luogo che fa della storia la sua più notevole potenzialità. Un aspetto che ovviamente si avverte anche dinnanzi al corpo centrale, superbo nel suo ricercato stile a metà tra Neoclassicismo e Liberty, che però avviciniamo solo di scorcio, attratti come siamo da quel vasto spazio che si distende alla nostra destra. Lì, orientato con un asse nord-ovest / sud-est(3), troviamo una spianata verde e lussureggiante che ospita le piste, da quella per il galoppo al percorso Cross Country.
Si respira aria diversa in quel punto. Certo, in lontananza sono ben visibili i nuovi landmark della città, i grattacieli di City Life e di Porta Garibaldi la cui presenza ci induce a rammentare dove siamo, ma per un attimo, spostando lo sguardo verso la tribuna e oltre, fino alla splendida Palazzina del Peso poco più lontana, è facile convincersi di aver scovato un posto eccezionale, fuori dal tempo, in cui è ancora possibile trascorrere una sana giornata senza la tipica frenesia che dilaga nelle metropoli.
Incuriositi come siamo, ci avviciniamo alla staccionata in metallo che confina l’area destinata agli spettatori con quella in cui esplode il pathos della corsa. L’erba è tagliata alla perfezione e la stessa cura caratterizza il percorso in terra che affianca il rettilineo finale, quello evidenziato dai due segnali circolari con lo scopo di indentificare il fotofinish.
Ben presto, su quella highway verde sfrecceranno i cavalli in gara, sospinti dai fantini e dal pubblico che inizia a popolare l’ippodromo. Qui è facile avvertire la sensazione di naturalità che caratterizza la vita rurale, ma anche la fatica e le pressioni che preannunciano ogni competizione e la preparazione prima ancora.
Ora però rivolgiamo lo sguardo in direzione della tribuna principale, ci avviciniamo ammirando la sua prospettiva e poi risaliamo gli spalti, fermandoci di tanto in tanto per controllare quanto varia la visuale. Salendo i gradini possiamo osservare la vastità dell’ippodromo, la partenza dall’altro lato della pista, la torretta con la scala elicoidale. Siamo ormai in cima, così entriamo nell’edificio e decidiamo di raggiungere un punto ancora più in alto, oltre le scale mobili, oltre una scala in calcestruzzo armato che sbuca in un riquadro di cielo. Siamo sulla terrazza. Il panorama è straordinario. Ancora una volta avvertiamo la sensazione, in questo luogo persino più vivida, di trovarci in una specie di bug temporale, immersi in una romantica cittadella in cui la natura (fortunatamente) spadroneggia.
Laggiù, voltandoci verso il lato opposto, c’è il Meazza, sempre più attivo e fremente in previsione del match, ma è inevitabile essere attratti da quest’altra “faccia” di San Siro, elegantemente realizzata dall’architetto Vietti-Violi come una rara e consolidata perla che spicca in un sempre più agitato tessuto urbano.
Ma dall’alto è anche possibile ammirare la Palazzina del Peso da un’angolazione unica, nel suo ricercato stile Liberty con le colonne affusolate, i graziosi bow-window, le terrazze fiorite e un aggetto che è una sfida per la statica. Al suo interno, in un’apposita sala, trova spazio la bilancia originale del 1920 che affianca quella attualmente utilizzata, e poi diverse stanze dalla pregiata raffinatezza dove è possibile trovare proprietari, allenatori e fantini.
Sempre in questo edificio vi è la Scala Reale, costantemente sorvegliata da concierge dedicati, e poi l’elegante tribuna d’onore dal quale è possibile assistere ad ogni momento della corsa.
Questo lato dell’ippodromo, con il corpo principale, la Palazzina del Peso e la tribuna secondaria oggetto di un radicale restauro e non ancora accessibile al pubblico, può essere considerato il fil rouge di un impianto immerso nel verde, ma anche caratterizzato da una serie di attività (e servizi) collaterali. Al di sotto degli spalti dell’edificio centrale è infatti collocata una zona ristoro, la Bouvette di Leonardo, mentre lo storico ristorante Canter 1920 è posizionato nei pressi della zona di insellaggio, in un contesto al tempo stesso esclusivo, naturale e afferente al mondo dell’ippica.
Poi ovviamente vi sono anche locali per uno spuntino veloce come il Bar del Turf e il Chiosco del Tondino (entrambi con un design in stile cottage di impronta anglosassone), che insieme all’Aria Club Milano, al nuovissimo ristorante La Terrazza(4) e a qualche occasionale esponente dello street food completano l’offerta dell’ippodromo.
Ma ora le corse stanno iniziando. Ce ne accorgiamo all’istante, non solo per la folla di gente che si sta avvicinando alla pista ma anche per quel gruppone di scommettitori impegnato ad osservare gli schermi dislocati nel padiglione coperto, realizzato con uno stile moderno e ben presto teatro di passionali esclamazioni. È lì che si concentra il grande tifo, sempre impegnato tra pronostici, quote, variazioni, scelte ponderate o meno, intento a controllare non solo le corse che si tengono a San Siro ma anche quelle organizzate in altri ippodromi del mondo, dal Regno Unito al Brasile, dalla Francia all’India.
Per i neofiti dell’ippica, o quegli appassionati che semplicemente non sono avvezzi alle scommesse, San Siro offre comunque un’atmosfera da vivere appieno, stabilendo una sorta di routine affine per certi aspetti ad un’altra epoca, con una tempistica intervallata da consuetudini che si interiorizzano spontaneamente.
Dopo che il maxischermo segnala con tanto di countdown che i purosangue della prima corsa sono all’insellaggio, la tensione inizia a salire, anticipando ciò che avverrà dopo qualche minuto al tondino. Per chi non lo sapesse, si tratta di un breve percorso in cui gli artieri scortano i cavalli con lo scopo di presentarli agli spettatori. L’arrivo dei cavalli viene annunciato anche dall’altoparlante posizionato nei pressi della Palazzina del Peso, che poi provvederà a segnalare il momento in cui i fantini dovranno montare in sella e quello in cui i cavalli dovranno avviarsi verso il punto di partenza. In realtà, il passaggio del tondino è un vero e proprio rito in cui si può percepire la più intima essenza dell’ippica.
Il nervosismo di alcuni cavalli, la concentrazione degli artieri e poi le ultime battute tra fantini, allevatori e proprietari, il tutto svolto tra l’incitamento delle persone e i commenti diffusi dall’altoparlante.
Il momento della corsa è finalmente giunto. Abbiamo giusto il tempo di decidere in quale punto assistere alla gara, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata al maxischermo, tanto per non restare impreparati da un improvviso avvio. Decidiamo di posizionarci il più vicino possibile alla pista, appoggiandoci alla bianca staccionata come un allenatore impegnato a cronometrare il suo purosangue.
È in quel punto, all’incirca nei pressi del traguardo, che assistiamo alla partenza, sporgendoci un poco per tentare di scorgere il primo cavallo spuntare dalla curva, la stessa che indirizzerà il gruppone sul rettilineo finale.
E ora finalmente li vediamo. Laggiù, in fondo.
Un uomo indica ad una bambina da che parte guardare, ma poi sale l’incitamento alle nostre spalle, sì, quasi un boato, e in una manciata di secondi ci troviamo ad ammirare ciò che realmente vuol dire assistere ad una corsa di cavalli. Con la sua irriproducibile atmosfera che quasi ci sormonta, catapultandoci in una realtà saettante e turbinosa, vediamo il cavallo vincente superare il traguardo e poi tutti gli altri, con i loro fantini scatenati e l’andatura fluida come solo un purosangue può fare.
Un attimo dopo la polvere si deposita, dando il via libera al ritorno degli spettatori verso il tondino, ora tratto di passaggio per i cavalli indirizzati verso il parterre davanti alla Palazzina del Peso. In alcuni di loro la stanchezza è palpabile, ansimano, sbuffano, sudati e sfiancati esattamente come i loro fantini.
È il tempo della celebrazione del vincitore, ma anche del giusto riconoscimento rivolto agli altri purosangue, pronti a raggiungere la zona deputata al dissellaggio. Questo generalmente viene effettuato proprio davanti alla tribuna d’onore per consentire, all’interno dell’edificio, la ripesatura del fantino insieme alla sella e agli accessori: un momento “burocratico” e proprio per tale motivo divenuto parte della tradizione, perché è in quell’edificio che si scambiano opinioni e commenti sulla gara.
All’esterno, nel frattempo, gli scommettitori si esaltano o mostrano delusione, preparandosi con il programma in mano per la seconda gara, che forse ad alcuni porterà qualche gioia in più.
Ma a noi, quello che più interessa, è interiorizzare questa atmosfera unica, persino inebriante. Ci guardiamo intorno, semplicemente ammirando ancora una volta gli edifici progettati da Vietti-Violi oltre un secolo fa e per un attimo, forse tratti in inganno dal codice di abbigliamento che caratterizza la Palazzina del Peso e dai cavalli che sfilano sotto un sole ottobrino, ci ritroviamo a pensare che questo ippodromo offre un’esperienza unica in cui le corse c’entrano, certo, senza però dimenticare la sua sensazionale capacità di ricostruire (o forse conservare) il passato.
Che sebbene sia difficile – se non impossibile – da replicare, come sosteneva il Nick Carraway di un famoso romanzo di Francis Scott Fitzgerald, ciò non vuol dire che non si possa assistere e partecipare all’eccezione che conferma la regola, riprendendo la visionarietà (proprio) di Jay Gatsby nei confronti di un passato che si può convintamente ripetere.
Questo articolo fa parte della serie monografie di Archistadia, raccolte nella sezione Profili
(1) Il parco dell’ippodromo di San Siro è caratterizzato da 72 specie botaniche registrate e cartellinate sia autoctone che importate dall’estero
(2) Il Cavallo di Leonardo fu commissionato nel 1482 dal Duca di Milano, Ludovico il Moro, che si affidò al genio di Leonardo da Vinci. Alto 7 metri e pesante 10 tonnellate la statua venne però realizzata solo negli anni Novanta per opera della scultrice statunitense Nina Akamu. La volontà di concretizzare l’idea di Leonardo venne espressa dal pilota statunitense Charles Dent, il cui sogno venne poi portato a termine da Frederik Meijer, che avviò effettivamente la costruzione del primo modello di studio. Nel 1999 il Cavallo arrivò a Milano, la location scelta dalla Leonardo da Vinci’s Horse Foundation (Ldvhf), dando così il giusto onore a quelle persone – tra cui lo stesso Leonardo e Charles Dent – che si erano cimentate nella sua progettazione.
(3) Tale asse (nord-ovest/sud-est), differente rispetto a quello del precedente ippodromo (nord-sud), permette agli spettatori di assistere alle corse rivolti verso nord, evitando quindi l’abbagliamento solare.
(4) Il ristorante La Terrazza è posizionato all’ultimo piano della Palazzina del Peso.
- l’Ippodromo San Siro è qui, su Google Maps
- si può raggiungere scendendo alla fermata “San Siro Ippodromo” della linea Lilla della metropolitana di Milano, qui
- sito web ufficiale Ippodromo San Siro, qui
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Cover image: Vista verso le piste dell’Ippodromo San Siro di Milano (photo: Luca Filidei / Archistadia)
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