Ottimo esempio di architettura sportiva ma anche un mancato esercizio di lungimiranza.
La funzionalità dovrebbe essere il vincolo fondamentale nella progettazione di uno stadio o di un’arena sportiva in genere. Spesso, però, si fanno i conti con errori, dimensionamenti sbagliati e scelte che creano nuovi problemi, invece di risolverli. Mai come nel calcio la lungimiranza è una virtù fondamentale e la programmazione sul medio-lungo periodo è esercizio irrinunciabile.
Lo Stadio Brianteo di Monza apre delle domande proprio su questi temi: si tratta di un’architettura sportiva di grande valore ma poco funzionale e in parte scollegata dalla realtà in cui si trova.
L’iter progettuale, ai tempi durato quasi 10 anni, era forse stato il presagio negativo di ciò che sarebbe venuto dopo. Inaugurato nel 1988 (con una vittoria dei padroni di casa in un turno di Coppa Italia contro la Roma) lo stadio è oggi uguale a sé stesso e, per questo, facilmente valutabile in ogni sua caratteristica. La realtà calcistica dello stadio è chiara: il Monza 1912, la cui storia recente è stata piuttosto tribolata, attualmente è una squadra di Serie C che, nonostante un passato glorioso, si ritrova con uno stadio esageratamente sovradimensionato e, per certi versi, non necessario.
Ma il Brianteo è anche un eccezionale esempio di architettura sportiva moderna, e questo va assolutamente considerato. Situato al margine est della città, l’edificio è accomunabile alla corrente del (tardo) brutalismo.
L’impatto visivo sul visitatore è immediato: cemento armato a vista e linee sicure ed efficaci danno il quadro degli elementi strutturali coinvolti. La scelta delle due gradinate piccole dietro le porte (in realtà il risultato di vari ripensamenti sul progetto iniziale) aumenta ancora di più l’imponenza simbolica della tribuna principale. Con quasi 6mila posti tutti a sedere, il settore centrale è coperto da una struttura sospesa ancorata alle due grandi torri laterali, sede anche dei riflettori per l’illuminazione.
Non si può negare l’eccezionalità di questa tribuna che si sviluppa su un anello unico con un grado di pendenza molto elevato, accentuato dal dimensionamento leggermente sproporzionato dei gradini che, nelle file più in alto, arrivano ad avere addirittura una pedata minore dell’alzata. La visibilità sul campo è ottimale, i percorsi interni ben studiati e nella pancia della tribuna si trova anche un ampio bar/punto ristoro dedicato ai tifosi, di recente apertura.
La gradinata “Distinti”, sul lato opposto, è invece su due livelli senza copertura, con l’anello superiore molto aggettante a creare un parziale riparo ad alcune file di posti sottostanti. Questa, attualmente, è la parte di stadio chiusa al pubblico durante gli eventi sportivi, e da sola conta circa 8mila posti. Le due piccole gradinate dietro le porte si sviluppano, invece, su un piano rialzato rispetto al livello stradale circostante e questo ha permesso lo sviluppo di locali di disimpegno e servizi nella parte seminterrata. I tifosi accedono al settore da rampe e scale esterne e si ritrovano su una classica “terrace” all’inglese, senza ripari o strutture accessorie di sicurezza.
Il Brianteo è uno stadio contraddittorio. Non solo nelle intenzioni (sovradimensionato per scelta, scommettendo su un futuro luminoso del club mai arrivato) ma anche nelle soluzioni tecniche. Nel giudicarlo non è possibile scindere il suo valore architettonico dal grado attuale di utilizzo e questo, senz’altro, ne penalizza la percezione finale.
I compromessi nelle dimensioni – due tribune imponenti e due molto piccole – si riflettono sulle difficoltà di ristrutturarlo ma concorrono a creare l’insieme di un edificio molto più importante e apprezzabile di quanto non si pensi. Lo Stadio Brianteo è uno dei pochi simboli di architettura sportiva “brutalista” in Italia, forse da considerare un esercizio di stile in parte fine a sé stesso, ma certo meritevole di una maggiore valorizzazione.
Questo articolo fa parte della serie di monografie “Profili”
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