Il significato di eredità sportiva di un luogo raccontato dall’incredibile viaggio di un pezzo del vecchio palazzetto dei Cleveland Cavaliers.
Oggi la nostra scuola ha questo privilegio: preservare una parte della storia NBA e poter chiamare ‘casa’ il vecchio campo da gioco dei Cleveland Cavs
Brian Fitzgerald, head school principal, Grace Christian School
Cosa succede quando uno stadio viene chiuso e demolito, facendo spazio a un nuovo impianto? Come ci poniamo di fronte alla “perdita” di un luogo che per anni ha accompagnato la storia sportiva di una squadra, e contribuito a essa, intrecciandosi alla vita di intere generazioni? Tutto ciò che lo sport riesce a veicolare si lega a doppio filo con il luogo fisico in cui gli avvenimenti si sono svolti, in cui risiedono i ricordi e le immagini nella mente delle persone. Proprio quei tifosi che si abituano in fretta a chiamare “casa” le gradinate, i seggiolini e ogni piccola parte strutturale di un impianto, e che in essi ripongono emozioni e speranze come se certe volte fosse lo stadio stesso l’artefice delle gioie e delle delusioni della propria squadra.
Ecco perché è particolarmente curiosa ma allo stesso tempo importante la storia del Richfield Coliseum, vecchio palazzetto di basket dei Cleveland Cavaliers in uso dal 1974 al 1994, e demolito poi nel 1999. E, nello specifico, meritano un approfondimento le vicende di un “pezzo” di quell’arena che oggi fa parte solo di foto e riprese video del passato: il parquet originale calcato negli anni dai più grandi giocatori dell’NBA è sopravvissuto alla demolizione, venne conservato, e oggi ha una nuova vita sportiva: a 600 km di distanza, nella palestra di un piccolo liceo della Virginia.
Entrando nella palestra della Grace Christian School, a Staunton, Virginia, è impossibile non accorgersi della bacheca di trofei all’ingresso. Proprio in mezzo a coppe e targhe vinte negli anni dalle varie selezioni sportive dei Warriors (soprannome delle squadre della scuola) c’è una canotta blu e arancio, con la scritta “Cleveland” sul petto. A fianco una vecchia copia di Hoop Magazine, un tempo programma ufficiale dei Cavs per le partite interne al Richfield Coliseum. Sono questi i primi segni di un legame che unisce annualmente circa 200 studenti e il nord-est dell’Ohio. Staunton è una cittadina di 20.000 abitanti, carina ma non eccezionale, se non fosse perché diede i natali al (poi) presidente degli Stati Uniti, Woodrow Wilson (28 dicembre 1856, ndt). La sua biblioteca presidenziale e il museo sono praticamente l’unica ragione che attira visitatori esterni. La Grace Christian, dal canto suo, non è una scuola così grande e di certo non lo era nel 1997, tanto da non avere nemmeno una palestra propria. “Chiedevamo palestre in prestito, andavamo in affitto, facevamo tutto il possibile per giocare”, racconta Randall McNair, ex coach della squadra femminile della scuola. (brano tratto dall’articolo di Jon Sladek, “Remnants of Richfield: the untold story of how the Cavs’ floor from the Richfield Coliseum ended up at a small school in Virginia”, comparso in forma originale su Cleveland Scene, 29 ottobre 2014)
Siamo in un’ambientazione molto americana, una cittadina come tante. La vita scorre nella normalità a Staunton, e la Grace contribuisce a tutto questo, con la sua impronta educativa cristiana, dai bimbi pre-scolari ai ragazzi della high school. Lo sport ad alti livelli qui non è mai arrivato (al massimo un paio di squadre di baseball messe in piedi nel corso degli anni per la lega dello Stato della Virginia) ma l’importanza dell’attività sportiva, e degli insegnamenti che ne derivano, è valorizzata e portata avanti dalla tradizione delle tante squadre scolastiche della Grace School.
In questo contesto, quello che succede nel 1997 è un fulmine a ciel sereno. La Grace da tempo non ha una propria palestra – e nemmeno un locale adatto a ospitarla – e Gary Summers (marito dell’allora direttrice sportiva scolastica) è alla ricerca di un campo da basket per la scuola.
Iniziò tutto con alcune telefonate, partendo dai rappresentanti di una ditta nazionale famosa per l’installazione di parquet e pavimentazioni di palestre e arene. La chiamata inizialmente fu un buco nell’acqua ma un paio di mesi dopo: “Fui ricontattato dalla persona che avevo cercato, la quale mi disse che il parquet e i canestri del Richfield Coliseum in Ohio erano a disposizione”, racconta Summers, “e che mi avrebbe messo in contatto con il responsabile delle strutture dei Cavaliers”. (brano tratto dall’articolo di Jon Sladek, “Remnants of Richfield: the untold story of how the Cavs’ floor from the Richfield Coliseum ended up at a small school in Virginia”, comparso in forma originale su Cleveland Scene, 29 ottobre 2014)
Il Richfield Coliseum, palazzetto di casa dei Cleveland Cavaliers dal 1974, era stato il progetto sognato e voluto da Nick Mileti, proprietario dei Cavs. Era stato realizzato in un’area disabitata a metà fra Cleveland e Akron, nella speranza di attirare più tifosi e approfittare del possibile, futuro, boom urbanistico della zona. Grande il doppio rispetto alla precedente Cleveland Arena, era una delle migliori strutture sportive del paese.
Era stato inaugurato con un concerto di Frank Sinatra, aveva ospitato un leggendario incontro di boxe tra Muhammad Ali e Chuck Wepner nel 1975 (il quale ispirò poi Sylvester Stallone per la sceneggiatura di “Rocky”) ma, soprattutto, ci avevano giocato le più grandi stelle della NBA, da Michael Jordan a Larry Bird.
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“Ricordo bene quella mattina nebbiosa, arrivando a Richfield”, racconta, “attraverso questa cittadina rurale e poi, all’improvviso, quell’enorme mostro che compare davanti a me. Riuscii solo a pensare ‘Wow!’ “. I Cavs chiesero a Summers quale prezzo gli era stato chiesto per costruire un campo nuovo alla Grace. “26.000 dollari” fu la sua risposta, e i responsabili dei Cavs gli proposero il parquet e i canestri, usati per anni dalle leggende dell’NBA, per lo stesso prezzo. “A quel punto diventava davvero un affare interessante!”, ricorda oggi Summers. Tornato a Staunton, Summers mobilitò le truppe. Bisognava superare a tutti i costi qualunque intoppo economico e logistico. In poco tempo 15 volontari e due tir con rimorchio – donati gratuitamente – erano a disposizione. 1.000 dollari vennero subito raccolti e dati ai Cavs come caparra iniziale. Un imprenditore locale, inoltre, donò alla scuola un edificio inutilizzato di sua proprietà, come nuova palestra. (brano tratto dall’articolo di Jon Sladek, “Remnants of Richfield: the untold story of how the Cavs’ floor from the Richfield Coliseum ended up at a small school in Virginia”, comparso in forma originale su Cleveland Scene, 29 ottobre 2014)
Era fatta. Il Coliseum sarebbe stato demolito di lì a un paio d’anni (nel 1999) ma qualcosa si era salvato. L’intero campo da gioco, i canestri ufficiali NBA con gli spigoli del tabellone imbottiti, le sedie della panchina dei Cavs, i canestri del campo d’allenamento e addirittura i lavandini in marmo dai bagni del palazzetto.
Tutto questo sarebbe finito in una high school della Virginia, dove avrebbe continuato a trasmettere l’eredità dei momenti più importanti dello sport americano.
Brian Fitzgerald, oggi preside della high school della Grace, aveva quindici anni all’epoca del trasferimento e mi ha raccontato l’entusiasmo di quei giorni come fossero oggi: «Probabilmente ero più eccitato dal fatto di poter avere finalmente un campo da basket dove giocare, piuttosto che per il significato intrinseco della cosa. Ricordo quando il campo arrivò qui e lo montammo tutti insieme: c’erano un paio di segni, in corrispondenza dei punti del parquet da cui Michael Jordan aveva segnato canestri decisivi (il riferimento è al “The Shot”, canestro della vittoria a 1 secondo dalla fine, Cavs-Bulls playoff 1989, video qui, ndr) ma non ero molto ferrato sulla storia del basket. Molti di noi giocavano a calcio e ci dedicavamo al basket solo in inverno, per tenerci in forma. Era anche nostro dovere rappresentare la scuola nei vari tornei e campionati».
Brian mi confida poi che giocare su un campo NBA, a livello scolastico, negli anni diventò quasi un vantaggio: «Adoravo quel parquet. Fui abbastanza fortunato da essere nel primo team che ci giocò come campo di casa, e devo dire che ci dava anche dei vantaggi. Era più grande dei campi delle altre scuole e questo ci permetteva di giocare in ampiezza, costringendo gli avversari a coprire spazi a cui non erano abituati. Inoltre era anche un vantaggio atletico, correvamo di più ed eravamo più allenati delle altre squadre scolastiche».
Il vantaggio di un campo più grande me lo conferma anche George McNair, oggi vice-preside ma all’epoca un alunno sedicenne coinvolto in prima persona nel trasferimento dell’incredibile memorabilia: «Sono convinto che avere un campo più lungo e più largo di tutte le altre high school sia sempre stato un vantaggio. Le squadre avversarie, quando vengono a giocare qui, provano sempre a tirare dalla distanza NBA dei 3 punti, è un’occasione unica per tutti. Nel 1999 una nostra delegazione di insegnanti, genitori e alunni andò a Richfield per recuperare tutto il materiale che i Cavs ci avrebbero ceduto, e io ero tra loro. Per me era un sogno entrare in un palazzetto NBA, poter camminare sul parquet e visitare gli spogliatoi e gli uffici della dirigenza. Una serie di circostanze fortunate permisero tutto questo e per noi fu il primo tassello da cui partire per costruire una nuova palestra, tutta nostra».
Subito dopo l’installazione del parquet alla Grace, ci fu un dibattito interno alla scuola sull’opportunità di togliere il logo dei Cavs dal campo e sostituirlo con quello della squadra della scuola, i Warriors. Fortunatamente la maggioranza si disse contraria e il parquet rimase con tutti i suoi marchi originali. Un esempio incredibile di conservazione dell’identità e della storia sportiva di una squadra, nonostante le circostanze e la demolizione dello stadio originale.
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Ancora oggi George McNair è orgoglioso di tutto questo, ripensandoci: «Mi piace pensare che questa scuola abbia contribuito nel preservare un piccolo pezzo di storia della NBA, dal famoso canestro decisivo di Michael Jordan all’ultima partita in carriera di Larry Bird». Gli fa eco Brian Fitzgerald, anche lui all’epoca – da studente – coinvolto nel trasferimento e nella posa del parquet: «È fantastico sapere di aver avuto un ruolo in tutto questo e che oggi la nostra scuola ha questo privilegio, preservare una parte della storia NBA e poter chiamare “casa” il campo da gioco dei Cleveland Cavs. Poco dopo aver iniziato a utilizzarlo abbiamo inserito l’arancione nei nostri colori sociali (blu e bianco), perché blu e arancio sono i colori dei Cavaliers».
«È un legame speciale. Siamo uniti a doppio filo con questo parquet” conclude Brian “e trovo molto positivo che sia rimasto ‘il Coliseum dei Cavs’ e non ‘dei Warriors’. Come scriveva San Paolo nella lettera ai Corinzi: ‘cosa possiedi che tu non abbia ricevuto?’, e la mia risposta è nulla, ogni cosa è un regalo del destino. E la storia di questo campo, per noi, ne è la prova».
Archistadia ringrazia in modo speciale Liz Middleton, Brian Fitzgerald e George McNair, della Grace Christian School, per la loro disponibilità e le preziose testimonianze che ci hanno aiutato nella stesura dell’articolo.
» la Grace Christian School di Staunton, Virginia, è qui su Google Maps
Questo articolo è stato pubblicato originariamente su Archistadia il 16 luglio 2016, e successivamente editato e ampliato. Ultimo aggiornamento 12 febbraio 2022.
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