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Stadio della Roma, le contraddizioni del vincolo sull’Ippodromo di Tor di Valle

Un reale proposito di conservazione?

Il percorso verso la costruzione del nuovo Stadio della Roma si è arricchito di nuovi spunti e situazioni contrastanti, fra cui l’ultimo in ordine tempo, forse più grottesco. Dopo l’apertura positiva verso l’ipotesi della fattibilità del progetto, è arrivato il nuovo ostacolo: la “dichiarazione d’interesse culturale” da parte della Soprintendenza capitolina sull’Ippodromo di Tor di Valle.  

La decisione dell’ente per la tutela irrompe sullo scenario burocratico in modo dirompente, non coinvolgendo solo la struttura del vecchio impianto ma anche l’area circostante, comprendente la pista per le gare e un ulteriore spazio attorno all’ippodromo, come si legge nelle motivazioni del documento ufficiale: “La struttura è tutt’ora fruibile, anche per le visuali che da essa si godono, non solo della pista, ma anche del contesto urbano circostante, la tribuna costituisce un unicum dal punto di vista dimensionale”.

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L’ippodromo, inaugurato nel 1959, era stato progettato dall’architetto Julio Lafuente ed è senza alcun dubbio un grande esempio di architettura moderna italiana. La tribuna poteva ospitare circa 50mila persone e, con le piste da corsa e da allenamento, era (è) uno degli ippodromi più grandi d’Europa.

Ha davvero senso pretendere la conservazione della tribuna dell’Ippodromo di Tor di Valle?

Il problema è lo stato di conservazione dell’edificio. Chiuso a inizio 2013 (quando già necessitava di restauri) oggi è ai limiti del fatiscente e decidere che dev’essere vincolato non può escludere l’intenzione di ristrutturarlo. Non è accettabile un’altra opzione. Questa dichiarazione di interesse, che porterà, a scanso di dietrofront improvvisi, a un vincolo “diretto e indiretto” sulla struttura, rappresenta un impegno alla ristrutturazione dell’impianto. In caso contrario, non si potrà che leggere quest’azione come un’occasione pretestuosa per mettersi di traverso.

Nel caso dell’Ippodromo, infatti, non ci si trova di fronte a un edificio di età antica che sarebbe improponibile tentare di ristrutturare e/o ricomporre, preferendo mantenerlo e conservarlo nella sua veste attuale. Siamo, anzi, di fronte a una struttura che si pretende abbia un valore architettonico ancora apprezzabile nonostante le sue attuali condizioni di degrado.

Apporre un vincolo oggi sull’Ippodromo di Tor di Valle, significa accorgersi solo ora delle necessità impellenti della struttura e, di conseguenza, assumersi la responsabilità di definirlo un “unicum dal punto di vista dimensionale” implica l’impegno a intervenire per “valorizzarlo”.

Decidere di inserire il vincolo di tutela sull’Ippodromo significa impegnarsi fin d’ora nella sua ristrutturazione. Ma, succederà davvero così?

La questione della conservazione, in Italia, è un tema spesso complicato. Il nostro immenso patrimonio storico-architettonico diventa talvolta una sorta di prigione, che annulla gli spazi di manovra. L’immobilismo in nome della conservazione non è accettabile, e la situazione di Tor di Valle potrebbe invece diventare un esempio evidente di questo atteggiamento.

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Una vista della tribuna dell’Ippodromo di Tor di Valle, nella seconda metà del Novecento.

La stretta attualità delle condizioni dell’area considerata, non rispecchia nulla di quanto evidenziato nella recente dichiarazione d’interesse culturale. È una zona in pieno degrado, con una struttura fatiscente al suo interno: come si fa a parlare di struttura “tutt’ora fruibile”? Dove sono le “visuali che da essa si godono”?

Se un NO a demolire dev’essere, che sia costruttivo. Che preveda (obblighi?) a rifare il progetto, inglobando la tribuna nel nuovo stadio, o che se ne richieda la ristrutturazione e l’utilizzo per un campo secondario. Ipotesi esagerate, forse, ma pur sempre proposte alternative che ipotizzano scenari funzionali. O si chiarisca che la dichiarazione non è solo di interesse ma anche di intenti e, insieme al vincolo, si intervenga per riqualificare la zona.

Non abbiamo bisogno di un altro rudere a ricordo dell’architettura sportiva che fu, ciò che resta dell’Ippodromo di Lafuente non lo merita.

Per approfondire, libri sull’architetto Julio Lafuente, da Amazon:

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