Un viaggio in due parti alla scoperta degli impianti sportivi della città di Cleveland.
Quando, il 19 giugno 2016, la sirena ha decretato la fine di gara-7 fra Golden State Warriors e Cleveland Cavaliers, alla Oracle Arena di Oakland (California) non è scattato soltanto il momento dell’assegnazione del titolo di campione NBA. 52 anni di attesa e 147 stagioni sportive complessive, combinando insieme fra loro tutte le squadre professionistiche locali: tanto aveva dovuto aspettare la città di Cleveland, Ohio, per vedere una delle sue franchigie tornare a vincere un titolo nazionale, dopo quello del 1964 targato Cleveland Browns (nel football americano).
La storia sportiva di Cleveland, però, non è solo quella della lunga attesa per un trofeo ma si può leggere anche attraverso i suoi stadi e il modo in cui sono entrati nell’immaginario collettivo locale, sicuramente al di là di etichette e luoghi comuni che l’hanno sempre raccontata come una città cupa e disgraziata, sia sul campo che fuori.
Una bella canzone di Randy Newman del 1972, che celebra l’atmosfera di Cleveland e che potete ascoltare mentre leggete questo articolo.
I Cleveland Browns, agli albori della NFL
I Browns sono proprio la franchigia che ha dato inconsapevolmente il via a quella che, fino al 2016, era una vera e propria “maledizione” per l’intera città.
La squadra di football americano della città dell’Ohio ha finora percorso la sua storia divisa fra due stadi, il Cleveland Municipal Stadium prima, e l’attuale FirstEnergy Stadium, poi. Inaugurato nel 1931, quando curiosamente i Browns (fondati nel 1945) ancora non esistevano, il Municipal fu considerato a pieno titolo come uno dei primi stadi polisportivi degli Stati Uniti, concepito sia per il baseball che per il football americano (e infatti verrà poi condiviso con gli Indians di baseball per alcuni decenni).
Era uno stadio semplice, con una struttura a pianta circolare impostata idealmente sul diamante del campo da baseball, e aveva una copertura totale su tutte le gradinate tranne che sullo spicchio frontale al battitore, come da tradizione dell’architettura sportiva per lo sport del “batti e corri”.
L’anello di gradinata, su due livelli, era una classica balconata dal profilo “all’inglese” con alcuni particolari estetici ispirati all’Art Déco che segnavano l’involucro esterno con eleganza e regolarità nella scansione delle aperture. Quattro blocchi aggettanti, due per lato, estrusi dalla circonferenza perimetrale, accoglievano gli ingressi allo stadio e movimentavano parzialmente l’edificio. La capienza arrivava a 80mila persone, ma scese poi a circa 75mila dagli anni ’80 in virtù di interventi di ristrutturazione e normative di sicurezza più stringenti.
Adagiato lungo la costa cittadina sul Lago Erie, il rapporto del Municipal Stadium con il paesaggio era particolare e affascinante, e si possono ancora apprezzare foto d’epoca con viste panoramiche verso lo stadio e la calma delle acque piatte sullo sfondo, come se l’impianto fosse stato calato all’improvviso all’interno di uno scenario rurale, bucolico, per nulla urbanizzato.
Ormai un gigante vecchio e piuttosto malandato, il Municipal Stadium viene chiuso nel 1995 e demolito l’anno successivo, lasciando il posto al nuovo FirstEnergy Stadium (qui, su Google Maps). Nel corso dei lavori del nuovo impianto, che durano quattro anni fino all’inaugurazione nel 1999, anche i Browns vengono coinvolti dal passaggio di consegne quasi epocale, e la franchigia viene “disattivata” dalla Lega NFL e non gioca nessuna partita ufficiale.
Il progetto del FirstEnergy Stadium viene firmato da Populous e diventa l’ideale evoluzione contemporanea del suo predecessore. La struttura in cemento e acciaio è imponente, con due tribune centrali su tre livelli e due gradinate laterali più piccole su due livelli, e una conformazione questa volta espressamente pensata per il football americano, con un effetto incombente delle tribune verso il campo.
La struttura delle tribune, poi, viene alternata ai vuoti lasciati volutamente in corrispondenza degli angoli dell’edificio, una scelta presa per evitare la formazione di vortici ventosi all’interno del catino dello stadio (problema ricorrente nel vecchio Cleveland Stadium, acuìto poi dalla pianta circolare che favoriva il continuo flusso in circolo dell’aria). Da una soluzione prettamente funzionale, quindi, il nuovo stadio ottiene anche una migliore integrazione con la città e ritorna quel rapporto fra lo stadio e il paesaggio che già veniva sottolineato nel Municipal Stadium: gli spicchi d’angolo vuoti diventano ideali finestre aperte che permettono una vista dall’interno dello stadio verso il lago Erie e lo skyline cittadino, in una continua interazione fra lo scenario del campo e lo sfondo di Cleveland.
Gli “indiani” e lo stadio più vecchio di Cleveland
Ma se i Browns sono la franchigia da cui parte il famoso digiuno di titoli della città, gli Indians sono coloro che danno davvero il via alla storia impiantistica di Cleveland.
Bisogna andare indietro fino al 1891, quando viene inaugurato il League Park, impianti degli allora Cleveland Spiders, squadra che militava nella National League di baseball (oggi una delle due leghe che compongono la lega nazionale MLB). Sono questi gli anni dei pionieri del baseball, un’epoca in cui compaiono le prime uniformi a righe, in alternativa a quelle a tinta unita, e vengono introdotti i calzettoni di vari colori, unici e rappresentativi ciascuno per ogni squadra.
League Park in origine ha 9mila posti e una struttura completamente in legno, trasformata poi nel 1910 su progetto della Osborn Engineering Company: con questo intervento, l’impianto diventa un ballpark a tutti gli effetti, cioé uno stadio specificamente costruito per il baseball. Esternamente è avvolto da un rivestimento in mattoni, che nasconde una struttura portante in cemento e acciaio, e la capienza raggiunge i 21mila posti su una configurazione che richiama l’impostazione in pianta dello stadio precedente: due lati di gradinate di un’ideale V abbracciano il diamante del campo, alle spalle della base del battitore, mentre una piccola tribuna sul lato opposto completa il perimetro.
La grazia delle balconate in acciaio del secondo anello riprende elementi e chiavi stilistiche dell’ingegneria civile di fine Ottocento, mentre la semplicità delle strutture esterne riesce a sopravvivere in alcune sue parti fino ai giorni nostri: fra il 2011 e il 2014, infatti, l’edificio della biglietteria, compresa parte del muro perimetrale adiacente, è stato oggetto di un progetto di restauro che ha riconsegnato la struttura alla città, diventando punto di appoggio e di servizio per il parco pubblico realizzato sul luogo del terreno di gioco originale.
Gli Spiders utilizzeranno il League Park fino al 1946 e, nel frattempo, cambiano nome, diventando i ben più conosciuti Cleveland Indians (il cambio arriva nel 1915, dopo un periodo in cui la squadra si chiama Cleveland Naps, dal 1903 al 1914).
Siamo ormai nel Secondo Dopoguerra quando viene creato il disegno iconico di Chief Wahoo, l’indiano simbolo della franchigia (spesso oggetto di critiche perché considerato una presunta caricatura in tono razzista e infine eliminato nel 2021, insieme al cambio di nome della squadra) ma già dal 1934 gli Indians cominciano a giocare alcune partite al Municipal Stadium, avviando la coabitazione con i Browns. Inizialmente, si tratta solo delle partite del fine settimana e di quelle serali: il League Park, infatti, sarà l’ultimo stadio utilizzato in MLB a non aver mai installato un impianto d’illuminazione.
Questa stampa (e molte altre che rappresentano storici stadi dello sport americano) è acquistabile dal sito web dell’autore, Jeff Suntala, There Used to be a Ballpark.com
Il Cleveland Municipal Stadium diventa, quindi, l’impianto che scriverà gran parte della storia degli Indians (oltre a quella già citata dei Browns) ma anche della città, ospitando concerti musicali di grande portata, fra cui il World Series of Rock, un festival di una giornata che si ripeterà più volte fra il 1974 e il 1980 attirando fino a 90mila persone per volta (con performer come i Beach Boys, Crosby Stills & Nash, Santana, Rolling Stones – d’altronde è a Cleveland che ha sede la Rock and Roll Hall of Fame).
Utilizzato sia per il baseball che per il football americano, per la sua stessa configurazione circolare il Municipal Stadium comunque porterà sempre con sé problemi legati a visuale e funzionalità. L’edificio risulterà annualmente in perdita per le casse municipali, e il contrasto fra le due diverse forme e dimensioni dei due campi da gioco, diametralmente diverse fra loro e in contrasto anche con la pianta dello stadio, sarà sempre un aspetto profondamente negativo sia per la visuale dei tifosi dagli spalti che per lo sviluppo del gioco: in sessant’anni di baseball giocato, infatti, nessun fuoricampo verrà mai messo a segno sul lato aperto delle tribune, frontale al battitore.
A cavallo fra gli anni ’80 e ’90, gli Indians ritrovano un fascino folkloristico nella cultura popolare grazie ai due capitoli del film “Major League” (1989 e 1994): nel primo film, alcune riprese interne ed esterne vengono girate proprio al Municipal Stadium ma per tutte le altre inquadrature, in particolare durante lo sviluppo delle azioni di gioco, lo stadio utilizzato per le riprese fu il Milwaukee County Stadium (impianto dei Brewers, ormai scomparsa), dato che la produzione non poteva incastrare le proprie tempistiche con il fitto calendario di partite di Indians e Browns.
Leggi anche: Lo storico parquet NBA dei Cleveland Cavaliers viene ancora usato in un liceo in Virginia
Per coincidenza, proprio nel 1994, quando esce il seguito del film Major League, gli Indians si spostano nel nuovo Progressive Field (inizialmente denominato Jacobs Field, in onore di Richard Jacobs, proprietario della franchigia). Lo stadio progettato da HOK Sport e Osborn Engineering rientra nel cosiddetto stile “retro-modern” degli stadi americani di baseball, con la pianta dello stadio che si adatta a quella del campo da gioco ma rifacendosi anche allo stile classico dei primi impianti di inizio ‘900, rivisitato e migliorato con l’uso di tecnologie e materiali moderni e su scala sicuramente più grande.
19 torri in acciaio segnano il profilo superiore del Progressive Field accogliendo i riflettori, mentre le facciate esterne sono il frutto di una composizione fra ampie vetrate ed elementi verticali a vista, e fanno parte di una scelta estetica complessiva che riesce ad armonizzare lo stadio con i grattacieli circostanti della città. Per un anno, fra il 2012 e il 2013, era rimasta in funzione anche una torre a spirale con turbine eoliche situata sull’angolo sud-est, e installata dalla Cleveland State University: permetteva la produzione di circa cinque volte l’energia fornita da pale eoliche tradizionali ma l’esperimento durò meno del previsto perché il materiale plastico della struttura si logorava troppo velocemente sotto l’effetto delle intemperie.
Nonostante tutto, Cleveland nel Novecento offrirà ancora molto all’architettura e allo sport, dall’esperienza più o meno misteriosa dell’hockey su ghiaccio agli alti e bassi della pallacanestro, fino alla tanto agognata redenzione cittadina del 20 giugno 2016.
(fine prima parte – la seconda parte è online qui)
Cos’è lo stile “retro-modern” negli stadi americani del baseball? In voga da metà anni ’90 a oggi, è l’evoluzione della tendenza progettuale precedente, la cosiddetta “retro-classic”, che nei primi anni ’90 aveva iniziato a riproporre la forma a diamante del campo ricalcandola anche sulla struttura dello stadio: il primo esempio costruttivo del genere era stato l’Oriole Park di Baltimore (fra l’altro lo stadio che fa da sostituto per le riprese di “Major League II”, il seguito del film sugli Indians, 1994). Con il retro-modern, questa tendenza estetica viene ulteriormente potenziata su scala maggiore e con tecnologie contemporanee.
Libri e DVD per approfondire lo sport a Cleveland:
- Where Cleveland Played: Sports Shrines from League Park to the Coliseum, di M. Eckhouse e G. Crouse (acquistabile qui, su Amazon, in lingua inglese)
- Lebron James, the Cleveland Cavaliers and the Greatest Comeback in NBA History, di B. Windhorst e D. Mcmenamin (acquistabile qui, in inglese)
- Cleveland Wins a Championship: The story of the 2016 Cavaliers (acquistabile qui, versione illustrata per ragazzi, in inglese)
- KING. La biografia di LeBron James, di Davide Chinellato (acquistabile qui, su Amazon)
- Cleveland Then & Now, di L. Demarco e K. Mondon (acquistabile qui, in inglese)
- i due capitoli del film “Major League” sono acquistabili qui: Major League (1989) e Major League 2 (1994)
Leggi anche: Cincinnati e i luoghi del baseball, parte 1 – parte 2
© Riproduzione Riservata