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Viaggio fra gli stadi di Cleveland (parte 2)

Un viaggio in due parti alla scoperta degli impianti sportivi della città di Cleveland.

prosegue dalla parte-1, pubblicata qui

19 torri in acciaio segnano il profilo superiore del Progressive Field accogliendo i riflettori, mentre le facciate esterne sono il frutto di una composizione fra ampie vetrate ed elementi verticali a vista, e fanno parte di una scelta estetica complessiva che riesce ad armonizzare lo stadio con i grattacieli circostanti della città. Per un anno, fra il 2012 e il 2013, era rimasta in funzione anche una torre a spirale con turbine eoliche situata sull’angolo sud-est, e installata dalla Cleveland State University: permetteva la produzione di circa cinque volte l’energia fornita da pale eoliche tradizionali ma l’esperimento durò meno del previsto perché il materiale plastico della struttura si logorava troppo velocemente sotto l’effetto delle intemperie.

Nonostante tutto, Cleveland nel Novecento offrirà ancora molto all’architettura e allo sport, dall’esperienza più o meno misteriosa dell’hockey su ghiaccio agli alti e bassi della pallacanestro, fino alla tanto agognata redenzione cittadina del 20 giugno 2016.

Una canzone di Ian Hunter, del 1979, considerata un inno della città di Cleveland.


Cleveland è una città particolare, con una storia segnata da alti e bassi sportivi e sociali, dove i primi hanno sempre, improvvisamente e poi per molto tempo, lasciato posto ai secondi. Il fondatore della città, Moses Cleaveland, Generale militare degli allora neonati Stati Uniti d’America, era originario del Connecticut e lì tornò dopo aver gettato le basi della futura capitale dell’Ohio. Come a dire che già dall’inizio la fiducia nella città adagiata sulla sponda del Lago Erie non era poi tanta. The Mistake On The Lake, lo sbaglio sul lago, un soprannome che per molto tempo è stato ben più che una presa in giro popolare.

Negli anni Venti, Cleveland era una delle città più importanti del Nord America mentre oggi è la 45esima per popolazione, un luogo normale, tranquillo, che nel frattempo ha dovuto superare il default del 1978, la crisi dell’industria dell’acciaio e le forti diseguaglianze sociali, con la fuga degli abitanti verso i sobborghi cittadini (situazione comune a molte altre città degli States) e un’atmosfera considerata cupa, triste, abbandonata a sé stessa.

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Lo skyline di Cleveland nel 1981, entrando in città da nord (photo by Mitchael J. Zaremba via Cleveland.com)

Anche nello sport Cleveland ha avuto i suoi anni d’oro ma anche questi fanno parte di un lontano passato, quando i Browns vincevano quattro titoli di football americano NFL in quindici anni (1950, 1954, 1955 e 1964) e gli Indians trionfavano nella World Series di baseball del 1948. Da lì in poi il declino, con i Browns accartocciati in un vortice negativo dopo la riattivazione della franchigia post-1999 (addirittura con una stagione da 0 vinte e 16 perse nel 2017) e gli Indians, segnati da maledizioni vere o presunte, che hanno dovuto attendere gli anni ’90 per tornare a vincere la lega nazionale, salvo arrivare quattro volte all’atto del campionato e veder sempre esultare gli avversari (l’ultima volta nel 2016, contro i Chicago Cubs, che di “maledizioni” e lunghe attese ne sanno qualcosa).

Dai fasti degli anni Trenta alle speranze degli anni Settanta

Non solo baseball e football, e poi pallacanestro, ma anche hockey su ghiaccio. Negli anni ’30 e ’40 del Novecento i Barons andavano forte e vincevano tanto quanto cambiavano nome: prima Indians (anche loro, sì), poi Falcons, poi Barons. Si trattava però dell’AHL, lega secondaria che viene utilizzata come campionato di sviluppo per il salto in NHL. E, in ogni caso, i Barons nel 1973 furono trasferiti a Jacksonville, Florida, “relocated”, questo temine molto americano che dà l’idea di cose liberamente spostate di qua e di là in base alle circostanze. Al sole della Florida, i Barons durarono qualche mese e chiusero i battenti. Ci torneremo fra poco.

Al termine della prima parte di questo articolo eravamo rimasti al Progressive Field degli ex-Indians (nuovi Cleveland Guardians, al 2022) che fa peraltro parte di un macro-isolato denominato Gateway Sports and Entertainment Complex. Ed è sul lato opposto della Gateway Plaza che si passa da mazza e guantone al parquet NBA, quello della Gund Arena, oggi Rocket Mortgage FieldHouse(*), il palazzetto dei Cleveland Cavaliers.

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Vista esterna dell’Elysium di Cleveland, foto d’epoca circa primi anni ’20.
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Vista esterna della facciata della Cleveland Arena, circa anni ’40 (photo via Case Western Reserve University)

I Cavs che non avevano vinto mai e non ci erano mai nemmeno andati vicino, si erano segnalati soltanto per alcuni momenti di culto come il “Miracolo di Richfield” (nella serie vinta contro i Washington Bullets, nel 1976) e la finale NBA raggiunta nel 2007 ma persa 0-4 contro i San Antonio Spurs.

Fondata nel 1970, la franchigia di basket gioca i primi quattro anni alla Cleveland Arena, riallacciando il filo della storia cittadina con quella dei Barons. Costruito nel 1937, l’edificio di Euclide Avenue era luogo di sport da sempre: costruito durante la Grande Depressione del 1937 grazie all’ambizione, alla forza di volontà e ai fondi economici personali di Al Sutphin, proprietario della franchigia di hockey, era un edificio in pieno stile anni ’30 americano, elegante ma essenziale con alcuni dettagli che richiamavano l’Art-déco ma erano già incanalati nei dettami del Modernismo.

Non è un caso che la Cleveland Arena fosse un’architettura di valore all’interno del tessuto cittadino, dato che aveva il compito di sostituire l’Elysium come palazzetto del ghiaccio locale. Considerato una delle 7 meraviglie perdute della città, l’Elysium era uno splendido edificio in stile neoclassico, costruito nel 1907 e all’epoca dotato della più grande pista indoor di pattinaggio su ghiaccio al mondo.

Qui ci avevano giocato i Barons fra il 1934 e il 1937 (quando ancora si chiamavano Falcons), e il Cleveland Hockey Club ci aveva vinto il titolo nazionale amatoriale nella stagione 1920/21. Sembra strano pensare a un luogo del genere posizionato a quasi 8 km dal centro città, immerso nei sobborghi della zona est dell’epoca, e costruito per volere di Dudley S. Humphrey III, che già aveva lanciato la realizzazione dell’Euclid Beach Park, parco divertimenti dal sapore ottocentesco che rimase operativo fino alla fine degli anni ’60 sulla costa nord del Lago Erie.

L’apertura della Cleveland Arena aveva spedito nel dimenticatoio l’Elysium (che sarebbe stato poi demolito all’inizio degli anni ’50) e il nuovo palazzetto avrebbe fatto in tempo a ospitare anche i primi anni dei Cavaliers di basket, prima della chiusura nel 1974 (e la demolizione tre anni più tardi). L’Arena aveva ospitato concerti e incontri di boxe fin dagli anni ’40 ed era considerata all’avanguardia per l’epoca (era dotata anche di un centro medico interno) ma arrivò in condizioni strutturali ormai decadenti alle viste degli anni ’80. I Barons avevano appena preso la strada della Florida, ma l’entusiasmo per i “nuovi” Cavs era palpabile e fu quello il momento in cui fu costruito il Richfield Coliseum, The Palace on the Prairie, che resterà l’impianto di casa della franchigia di basket per vent’anni.

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Vista esterna in notturna del Richfield Coliseum di Cleveland.
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Vista aerea del crocevia autostradale nei pressi del Richfield Coliseum di Cleveland, in alto a dx.

Costruito appositamente ai margini sud della città, all’incrocio fra tre superstrade con l’intenzione di coinvolgere un bacino di tifosi maggiore anche dalle località limitrofe, il Coliseum era un edificio che rappresentava un nuovo passaggio stilistico nell’architettura del Novecento di Cleveland. In effetti era un chiaro esempio di architettura brutalista, risolto in un parallelepipedo in cemento armato e acciaio che dall’esterno appariva come una grande scatola segnata verticalmente da costoloni aggettanti che, allo stesso tempo, scandivano simmetricamente i quattro lati e slanciavano l’edificio in altezza. Due “lame” di dimensioni maggiori inquadravano un ingresso monumentale che aumentava il senso di robustezza della struttura, che faceva da contrasto con gli ampi spazi verdi circostanti e il senso di desolazione rurale che lo avvolgeva.

Nonostante il nuovo palazzetto, la città di Cleveland non si espanderà in questa zona come sperato, e la megalopoli auspicata da Nick Mileti – all’epoca proprietario dei Cavs e deus-ex-machina del progetto del Richfield Coliseum – non si realizzerà mai. L’arena si trovava davvero troppo fuori da Cleveland (il luogo è qui, su Google Maps), di fatto a metà strada con Akron, e l’ambizione che da sola potesse trainare uno sviluppo cittadino e sociale di tali dimensioni era ben al di là dell’utopia.

Il Coliseum comunque restò per anni il punto di riferimento sportivo di Cleveland ospitando il basket, in parte l’hockey, ma anche i concerti delle più grandi star della musica dei due decenni successivi. La parola “fine” sul suo percorso venne data nel 1990, quando la municipalità decise di costruire proprio il Gateway Sports and Ent. Complex, in centro città, e trasformare quella parte di Downtown nel distretto sportivo di Cleveland. Nel 1994 i Cavs lasciarono il Coliseum e nel 1999 il palazzetto fu demolito.

Leggi anche: Lo storico parquet NBA dei Cleveland Cavaliers viene ancora usato in un liceo in Virginia

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La fase di gettata di cemento sul pavimento del Richfield Coliseum, in vista del concerto di Frank Sinatra che avrebbe inaugurato il palazzetto nel 1974 (photo AP Wipephoto via Cleveland.com)
Cleveland, this is for you!

Quello che doveva essere il punto di partenza per un boom urbanistico di Cleveland finì per durare appena vent’anni e non lasciare nessuna traccia dietro di sé. L’area verde al centro della quale era stato costruito il Coliseum fu restituita al parco nazionale del Cuyahoga Valley National Park e oggi è una zona di grande importanza per la protezione e la salvaguardia della fauna selvatica del posto.

In centro, invece, proprio di fianco al Progressive Field del baseball, c’è l’ultima tappa di questo viaggio, che chiude idealmente il cerchio con lo sviluppo urbano e sportivo della città. La nuova arena dei Cavaliers, Rocket Mortgage FieldHouse ha quasi la stessa capienza che aveva il Richfield Coliseum (20.562 posti contro 20.273) ma appartiene a un’era del tutto nuova nella concezione dei palazzetti dello sport americani: gradinate su tre livelli, 92 box di lusso e il più grande tabellone segnapunti della lega NBA. Un’enorme facciata vetrata (350 pannelli in totale) accoglie i tifosi dal porticato esterno e diventa il mezzo attraverso cui far vivere l’edificio in notturna, grazie ai giochi di luce e alle trasparenze con gli spazi interni.

La nuova arena ha recentemente ospitato l’All Star Game NBA nella stagione dei 75 anni della lega, e già aveva avuto l’onore di farlo nel 50esimo anniversario (1997), ma è soprattutto l’impianto in cui i Cavs hanno interrotto la lunga attesa della città per un titolo sportivo vincendo il campionato NBA nel 2016, guidati da Kyrie Irving e LeBron James: l’urlo commosso del figliol prodigo da Akron, Ohio, al termine di gara-7 (“Cleveland, this is for you!”, Cleveland, questo è per te), è stato il manifesto di un gigantesco senso di liberazione per intere generazioni di abitanti che da anni ormai venivano raccontati come una barzelletta dello sport nazionale.

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Panoramica interna dell’ex Quicken Loans Arena durante le celebrazioni per la vittoria del titolo NBA 2016 dei Cleveland Cavaliers (Photo by Jamie Sabau/Getty Images via OneFootball)
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Vista esterna in notturna del Rocket Mortgage FieldHouse di Cleveland (photo via Archello)

L’ex Gund Arena (prima denominazione del palazzetto in riferimento a Gordon Gund, ex proprietario dei Cavs e fra i fautori della costruzione del nuovo edificio) viene oggi utilizzata anche per l’hockey sul ghiaccio, perché ci sono i Cleveland Monsters che dal 2007 hanno attraccato sulle coste del Lago Erie, dopo una quindicina d’anni passati fra Denver (dov’erano stati fondati nel 1994) e lo Utah, e provano a dare un senso a questo sport in città – fra l’altro con una buona affiliazione con i Columbus Blue Jackets di NHL.

La conversione basket/hockey è un dettaglio interessante, e qui al Rocket Mortgage FieldHouse ci vogliono circa 22 ore per sostituire il parquet con il rink per il pattinaggio, spruzzando acqua che viene congelata in brevissimo grazie a cinque miglia di tubi refrigeranti che si snodano sotto il pavimento. Per il percorso inverso, invece, bastano tre ore nelle quali viene montato il campo costituito da 225 piastrelle di legno delle dimensioni di 10 x 20 cm ciascuna.


Cleveland rimane ancora oggi una città da scoprire, in parte a causa di una letteratura piuttosto negativa che ha subìto negli anni, anche in riferimento ai risultati sportivi. Lontana da particolari riflettori mediatici, riesce però a mettere insieme un ventaglio di architetture moderne di enorme pregio (spaziando dagli anni ’30 agli anni ’70, a cui si aggiungono importanti inserimenti contemporanei) e si conferma una città sportivamente molto passionale, con squadre di culto (alle volte loro malgrado) che hanno contribuito a creare un’atmosfera ancora piuttosto popolare e apprezzabile nel modo di vivere lo sport.

Un ultimo accenno, infine, va doverosamente fatto sul calcio, il soccer, che in anni recenti viene attraversato da forti innovazioni nel mondo americano della Major League Soccer. Il calcio nell’Ohio(**) però è affare di Columbus, e a Cleveland semmai ci è passato curiosamente in versione indoor: la miglior versione di tutto questo furono i Cleveland Force, squadra attiva fra il 1978 e il 1988, con un nome che richiamava “La Forza” della saga di Star Wars e una media di addirittura 12mila persone alle partite in casa al Richfield Coliseum. Era l’epoca della MISL, la Major Indoor Soccer League, una lega nazionale chiusa nel 1992 e oggi portata avanti nel concept dalla Major Arena Soccer League.

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I loghi moderni delle squadre di Cleveland, da sx: Monsters (hockey su ghiaccio), Browns (football), Guardians (baseball), Cavaliers (Basket) / visual by Archistadia

Alcuni spezzoni di gioco di Cleveland Force vs Minnesota Strikers, giocata al Richfield Coliseum e valida per i playoff di MISL stagione 1986/87

la prima parte di “Viaggio fra gli stadi di Cleveland” è qui

Per approfondire sport e architettura a Cleveland:
  • Where Cleveland Played: Sports Shrines from League Park to the Coliseum, di M. Eckhouse e G. Crouse (acquistabile qui, su Amazon, in lingua inglese)
  • Cleveland Wins a Championship: The story of the 2016 Cavaliers (acquistabile qui, versione illustrata per ragazzi, in inglese)
  • KING. La biografia di LeBron James, di Davide Chinellato (acquistabile qui, su Amazon)
  • Cleveland Then & Now, di L. Demarco e K. Mondon (acquistabile qui, in inglese)
  • Guide to Cleveland Architecture (acquistabile qui, in inglese)
  • i due capitoli del film “Major League” sono acquistabili qui: Major League (1989) e Major League 2 (1994)

(*) tutte le denominazioni degli attuali stadi di Cleveland, indicate in questo doppio approfondimento, si intendono aggiornati al 2022 e potrebbero cambiare in futuro per questioni di sponsorizzazione

(**) attualmente esistono i Cleveland Soccer Club, fondati nel 2014, squadra amatoriale a 11 che gioca su un campo da football americano nella cittadina di Berea, ovest di Cleveland

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L’interno del The Arcade Cleveland durante l’All Star Weekend NBA 2022 (photo by Gabe Wasylko / twitter)
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Vista verso lo skyline di Cleveland in occasione dell’All Star Weekend NBA 2022 (photo by Gabe Wasylko / twitter)

Foto e stampe dei lavori di Gabe Wasylko sono acquistabili qui

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