pianta stadio bologna littoriale

Un Colosseo per Bologna: genesi dello Stadio Littoriale

Un estratto dalla tesi di laurea in Storia dell’Europa Contemporanea di Pierfrancesco Trocchi.

La genesi dello Stadio Littoriale di Bologna, che oggi conosciamo come impianto intitolato a Renato Dall’Ara, risale un percorso che attraversa risvolti sociali, storici e architettonici dei primi due decenni del Novecento, in stretta connessione con l’avvento del Fascismo, la diffusione dello sport a Bologna e la figura centrale di Leandro Arpinati.

Pubblichiamo alcuni estratti di importate rilievo culturale per capire queste dinamiche, tratti dalla tesi di laurea in Storia dell’Europa contemporanea (corso di laurea in Scienze Storiche e Orientalistiche, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, a.a. 2019/2020) dal titolo “Sport e potere a Bologna nell’era Fascista”, scritta da Pierfrancesco Trocchi, che ci ha gentilmente concesso di divulgarla.


Romagnolo di nascita (nato a Civitella di Romagna il 29 febbraio del 1892, ndr), di formazione politica eterodossa e di carattere schietto come Mussolini, Leandro Arpinati rappresentò un’importante connessione tra l’epoca cosiddetta “eroica”, di cui fu indiscutibile protagonista, del fascismo e la sua istituzionalizzazione, che visse soltanto parzialmente. […] Recatosi a Civitella nel marzo 1910 in qualità di segretario della federazione socialista di Forlì per inaugurare il nuovo mercato coperto, il futuro Duce fu aspramente contestato da Arpinati e dai suoi compagni anarchici, che si erano scagliati contro la scelta di intitolare la nuova struttura ad Andrea Costa […] L’incontro piuttosto elettrico tra i due sancì, tuttavia, l’inizio della loro amicizia, tanto che il “contestatore”, diciottenne, iniziò a seguire Mussolini nei suoi comizi e ad instaurare con lui un rapporto gerarchico ma franco, che negli anni si mantenne eccezionalmente confidenziale (utilizzavano reciprocamente il “tu”), rispettoso ma privo di soggezione.

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Veduta generale dello stadio Littoriale di Bologna in costruzione (img da Il Comune di Bologna, rivista anno XI, n7, luglio 1925)
[…] Tra le opere che più profondamente coinvolsero Arpinati vi fu certamente lo sviluppo dello sport felsineo. Se a livello nazionale il suo impegno si materializzò nella presidenza, come abbiamo visto, di FIGC (1926-1933), FIDAL (1927-1929) e CONI (1931-1933), il gerarca romagnolo si applicò in ogni modo per aggiungere un attributo a quelli proverbialmente riservati al capoluogo emiliano:

Così coloro che per una predilezione del pittoresco linguaggio figurato amavano chiamare Bologna la dotta e la grassa dovranno d’ora in poi completarla con un terzo aggettivo necessario, se non indispensabile: la sportiva. Bologna la sportiva, anzi, tout court!

La promozione delle attività sportive fu particolarmente intensa, con un dispendio di energie umane, politiche ed economiche che assecondava – e, in taluni casi, anticipava – lo sfruttamento da parte del Regime dello sport come instrumentum regni. Arpinati era innanzitutto un appassionato praticante, come dimostrano la sua partecipazione all’edizione del 1927 della corsa “Mille Miglia” (durante la quale fu vittima di un grave incidente), la sincera amicizia con Enzo Ferrari, allora un semplice pilota, e il raid politico-sportivo Bologna-Roma, in cui guidò il 10 e l’11 agosto 1924 una coreografica colonna di automobili per portare sostegno a Mussolini31. Sotto le due Torri il ras sviluppò lo sport su due piani, ovvero alimentandone la valenza sociale di collante interno al tessuto urbano e, contemporaneamente, facendone leva di affermazione della città come centro sportivo di preminenza nel panorama italiano.

leandro arpinati bologna
[…] Un ulteriore passo nel senso di una vivacizzazione organizzata dello sport felsineo fu l’istituzione tra il 1927 e il 1928 della società “Bologna sportiva”, che già nel 1932 inquadrava «sotto l’egida fascista 1428 atleti suddivisi nelle nove sezioni dell’atletica leggera, atletica pesante, calcio, ginnastica, nuoto, pugilato, palla ovale, scherma, tennis»36, a loro volta ripartite in decine di associazioni sportive cittadine, tra cui il Bologna FC.

[…] La scelta di costruire un centro polisportivo a Bologna si profilò da subito come risposta ad esigenze al contempo locali e nazionali. Nessun altro impianto godette di un’eco mediatica così imponente e capillare, sia per la portata dell’opera in sé sia per la rilevanza dell’ubicazione, vale a dire una Bologna che nella seconda metà degli anni ’20 e fino al termine delle fortune politiche di Arpinati era indubbiamente al vertice istituzionale – e non solo – dello sport della Penisola. L’ermeneutica dell’importanza del “Littoriale” segue uno schema tipicamente fascista, ovvero quello dell’irradiamento valenziale da un epicentro urbano verso un coinvolgimento dell’Italia nel suo intero.

Bisogna dire che, tuttavia, Bologna non era del tutto priva di impianti per lo sport. Diversamente da altri grandi centri urbani italiani, la città poteva ospitare manifestazioni sportive di media grandezza, servendosi di strutture come il Velodromo Bolognese fuori Porta Saffi, inaugurato nel maggio del 1920 e dotato di una pista lunga 400 metri e larga 7, «un campo rettangolare di m. 86 x 66, destinato a gioco di Foot-Ball» e «lungo il rettilineo d’arrivo, una tribuna in legno, lunga m. 90, per i primi posti, e lungo il rettilineo opposto un’altra pure in legno, lunga m. 80, pei secondi posti» che, insieme alle tribune popolari, rendevano il Velodromo «capace di più di 10.000 spettatori». Un altro impianto di una certa rilevanza (la capienza era di circa 15.000 spettatori) era lo “Stadio Sterlino”, casa del Bologna FC, nei pressi di Villa Hercolani fuori Porta S. Stefano, inaugurato nel novembre del 1913 e fornito di una tribuna coperta in muratura.

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Foto aerea dello stadio Littoriale di Bologna (img da Il Comune di Bologna, rivista anno XI, n7, luglio 1925)
[…] L’opera, la cui ideazione risale ai primi mesi del 1924, doveva essere appunto maestosa perché espressione del fascio bolognese rappresentato dal ras non ancora podestà. Pertanto, egli si premurò da subito, attraverso le colonne de «Il Resto del Carlino» e de «L’Assalto», di specificare che l’iniziativa scaturiva da lui in persona e, dunque, dall’intraprendenza in camicia nera, non di certo dall’amministrazione comunale. Il “Littoriale” doveva infatti testimoniare la vittoria del fascismo e della rinnovata romanità imperiale, come sottolineò lo stesso gerarca romagnolo: «L’idea di costruire un grande stadio a Bologna mi venne visitando le Terme di Caracalla»; ciò che è certo è che egli si ispirò all’architettura stadiale europea, che aveva saggiato in praesentia, e in particolare a quella francese, tedesca, cecoslovacca e ungherese. Arpinati, inoltre, coadiuvato dall’Ing. Umberto Costanzini, progettista dell’opera, scelse personalmente l’area su cui sarebbe sorto il nuovo impianto, ossia l’allora frazione di S. Giuseppe, tra l’Arco del Meloncello e l’Arco Guidi.

Il terreno individuato, 60.000 metri quadrati «ai piedi del colle della Guardia fra la natura più ridente, che si allontana verso il greto del Reno», era delimitato sul lato in direzione di Piazza Maggiore – da cui distava circa 3 km – dal portico che conduceva e tuttora conduce al cimitero della Certosa e si trovava in una zona ancora poco urbanizzata e circondata dai campi. Il “Littoriale” sarebbe stato servito da due linee di tram, già esistenti e in funzione, oppure sarebbe stato raggiungibile anche a piedi dal centro storico, seguendo un percorso riparato nella sua interezza grazie al portico di via Saragozza. L’afflusso allo stadio sarebbe stato facilitato anche a livello nazionale dalla costruzione, ultimata nel 1934, della linea ferroviaria «Direttissima» Bologna-Firenze, la quale avrebbe esaltato la naturale posizione geografica della città felsinea assegnando a quest’ultima «una grande importanza strategica e commerciale». L’appropriazione da parte del fascio bolognese della paternità del campo polisportivo divenne totale quando il ras bolognese ne affidò l’impegno finanziario alla già citata Società Anonima Civile «Pro Casa del Fascio».

[…] Oltre che del denaro, il complesso polisportivo del “Littoriale” necessitava primariamente di lumi dal punto di vista tecnico ed architettonico. Il progetto fu affidato al già citato Umberto Costanzini, ingegnere capo dell’Ufficio tecnico della Casa del Fascio, mentre svolse un ruolo non di certo secondario l’architetto Giulio Ulisse Arata, cui fu demandata inoltre, come vedremo, la costruzione della Torre di Maratona che tuttora caratterizza il profilo dello stadio.

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Manifesti per la Fiera di Bologna allo stadio Littoriale, maggio 1939.

La prima delle diverse varianti del progetto fu quella pubblicata da «L’Assalto» nell’aprile del 1924, dove sono presenti uno stadio con due ingressi monumentali di fronte alla tribuna coperta, un campo da calcio per gli allenamenti e una grande piscina scoperta di 30 x 100 metri, mentre è assente una piscina coperta. L’ing. Costanzini e l’architetto Arata erano seguiti con grande partecipazione da Arpinati, «uomo che» – come scriveva «Il Resto del Carlino» presentando il disegno e la planimetria del “Littoriale” – «ha già dato prova di essere un volitivo e possente creatore e organizzatore», capace di ideare uno stadio nazionale «rispondente a tutte le esigenze della tecnica, dell’arte, dell’igiene, allo scopo di dare all’educazione fisica e allo Sport quella considerazione, quella popolarità, quello sviluppo» che Bologna, «città eminentemente sportiva» dove «fioriscono pleiadi di atleti», meritava.

Il Comune di Bologna presentò dettagliatamente il progetto del “Campo Polisportivo”, così come veniva chiamato il “Littoriale” prima del dibattito – che affronteremo brevemente – riguardo alla sua denominazione, nel luglio del 1925. Era, naturalmente, l’occasione per ribadire la maestosità dell’opera in procinto di essere realizzata, centrale per connotare l’Italia di un nuovo afflato, se non per trasformare un sogno in realtà: La vena apologetica percorre anche l’illustrazione degli aspetti più tecnici del progetto. Se «la scelta del terreno [era] stata fatta con arte», anche «il posto [era] stupendo» e il campo «racchiude[va] in un solo cerchio quanto gli sports moderni richied[evano] per il loro massimo incremento». Esso sarebbe stato «circondato da un anfiteatro a gradinate» con numerosi locali destinati in parte agli atleti e in parte a «esposizioni, trattenimenti d’ogni specie, dormitori, spogliatoi, totalizzatori […] a restaurant ed a caffè».

Al centro della pista d’atletica si sarebbe esteso un «campo destinato al foot ball, misura 120 per 75», dunque «un campo di spazio regolamentare […] per giocarvi anche le grandi partite internazionali»; le tribune avrebbero potuto contenere 40.000 spettatori, un colpo d’occhio che avrebbe giustificato «chi disse che il Campo è un’opera romana». Tuttavia, «la parte nuova e più originale del Campo», che non si trovava «in nessuna parte d’Italia» era rappresentata da quella che sarebbe divenuta la prima piscina coperta in Italia, con posti riservati al pubblico e lunga 33 metri, «sufficiente per l’omologazione di qualunque record nazionale ed internazionale e […] riservata alle gare e all’allenamento degli atleti», mentre il fondo della vasca in mattonelle bianche avrebbe presentato delle «striscie nere» utili «al nuotatore e al tuffatore per mantenere la strada […] e a calcolare approssimativamente la sua velocità».

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Veduta verso l’interno dello Stadio Littoriale di Bologna, sullo sfondo la collina di San Luca.
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I campi da tennis all’esterno dello stadio Littoriale di Bologna.

Su uno dei lati minori della vasca sarebbe stato «sistemato il castello per i tuffi», mentre il sistema di copertura «in cemento armato a volta ribassata» avrebbe ospitato «per tutta la sua lunghezza una lanterna larga m. 5 e proiettante luce laterale». Oltre al salone riscaldato, la temperatura dell’acqua sarebbe stata «costantemente di 20-22° C […] a mezzo di due bollitori a fuoco diretto». Infine, la distribuzione degli ambienti annessi alla vasca avrebbe sempre permesso una separazione dei bagnanti dagli spettatori, mentre al primo piano avrebbe trovato collocazione «una sala per la scherma». Se la vasca coperta era destinata «a favorire l’allenamento degli atleti anche nel periodo invernale», per i mesi caldi si era pensato alla costruzione di una piscina scoperta, più ampia (la lunghezza sarebbe stata di 50 metri) e fornita di «un ampio anfiteatro a gradinata», sui lati minori riservato «ai posti popolari», in corrispondenza dei quali, curiosamente, sarebbero stati edificati «un locale per il barbiere ed uno per il parrucchiere». L’edificio che, invece, non avrebbe mai visto la luce era una palestra, che, divisa in due parti uguali per le squadre femminili e per quelle maschili, nella mente dei progettisti avrebbero dovuto essere «complete e perfette» in quanto «fornite di tutte le comodità e di tutti quegli attrezzi» richiesti dai «sistemi moderni dell’educazione fisica».

Il Littoriale, un significato “monumentale” per lo stadio di Bologna

La struttura che avrebbe dovuto valorizzare Bologna, potenziandone il ruolo di «capitale dell’Emilia e della Romagna» attraverso «manifestazioni della operosità nazionale» non aveva ancora, però, un nome, la cui ricerca non fu banale. Per l’occasione Arpinati, invitato da Mussolini a trovare una denominazione che avesse un significato politico e che fosse ispirata dalla romanità dell’opera, si era rivolto al Prof. Baldoni, latinista bolognese. Le sue meditazioni iniziali portarono alla proposta del nome di “Littoriale”, con chiaro riferimento al fascio littorio, simbolo della rivoluzione in camicia nera; l’idea non fu gradita a tutti i gerarchi felsinei, che la ritennero foriera di un significato troppo estensivo. Piacque, però, ad Arpinati, che ricevette anche un altro suggerimento, ben più erudito e concettoso, da parte di Baldoni […] in una missiva privata:

Che cosa rappresenta nella sua essenza e nella sua finalità il campo polisportivo? Il luogo dove si coltiva e si tempra la nobiltà dello spirito e del corpo, della nuova stirpe, che è la stirpe fascista […]. Se una parola sola dicesse tutto ciò. Ebbene, c’è ed è bellissima: ha derivazione latina (e a sua volta greca), ha un suono romano: “Eugenéo”. Si compone delle parole “Eu” – “bene” – e “genes” – “stirpe”, “progenie”, “schietta”, “razza” – e la parola composta “Eugenéo” acquista il significato di “Buona stirpe” e “Nobile razza”. Perciò, quando diciamo “Eugenéo”, noi significhiamo precisamente e con esatto senso letterale “Il luogo (sottinteso) della buona stirpe, della nobile razza” […]. La nuova e nobile razza quale è la fascista.

Regnante l’indecisione tra i gerarchi bolognesi, la lettera fu riportata sulle colonne de «L’Assalto» all’interno di un articolo intitolato «“Eugenéo” o “Littoriale”?», scatenando una serie di risposte e di soluzioni da parte dei lettori, tra le quali “Agopadio”, “Poliludio” e “Campo Massimo”.

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Vista verso la tribuna e la Torre Maratona allo Stadio Renato Dall’Ara di Bologna (Photo by Alessandro Sabattini/Getty Images )

I dubbi furono risolti dopo qualche tempo, quando Arpinati, forse per ordine del Duce, optò per la proposta iniziale, ossia “Littoriale”. Consacrata nel luglio del 1926 sulle pagine del quotidiano milanese «Il Secolo» da Lando Ferretti, allora presidente del CONI, che presentava il progetto dello stadio di Bologna in un articolo intitolato «Il “Littoriale”», la denominazione fu utilizzata dal gerarca romagnolo anche per rifondare il «Corriere dello Sport». La testata sportiva, difatti, una volta acquisita da Arpinati tramite «Il Resto del Carlino» nel dicembre del 1927, fu ribattezzata «Il Littoriale», rimarcando così la fedeltà del quotidiano alla visione fascista dello sport.

La spinta centripeta, infine, ebbe il suo compimento il 23 aprile del 1931, data in cui il giornale divenne organo ufficiale del CONI per integrare «le funzioni fondamentali dell’ente nell’opera di propaganda dello sport nelle masse e di preparazione di mezzi e di atleti per le competizioni olimpioniche».


Lo stadio di Bologna verrà poi denominato Stadio Comunale dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, prima di essere intitolato nel 1983 alla memoria di Renato Dall’Ara, storico presidente del club felsineo dal 1934 al 1964.

Attualmente l’impianto è al centro di un percorso che porterà a un importante intervento di restyling della struttura, rinnovando il catino interno e conservando invece l’architettura storica esterna e la Torre Maratona (ne abbiamo parlato qui e, con alcuni aggiornamenti recenti, qui)

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