I 25 anni dello United Center di Chicago: «Siamo andati oltre ogni aspettativa»

Il primo quarto di secolo dell’arena di Chicago, fra vittorie, cambiamenti e progetti futuri.

Quando, il 18 agosto 1994, venne tagliato il nastro rosso che sanciva l’inaugurazione ufficiale dello United Center, si completò la realizzazione di un progetto durato sei anni, e nel quale si erano impegnati i proprietari di due franchigie e la stessa città di Chicago.

William Wirtz, proprietario dei Chicago Blackhawks di hockey, e Jerry Reinsdorf, dei Chicago Bulls di basket, avevano sognato una nuova arena fin dal 1988, avviando una partnership commerciale fra le due società che avrebbe potuto occuparsi della gestione dell’edificio. L’inizio dei lavori, nel 1992, e l’inaugurazione, nel 1994, furono i punti d’arrivo di questa visione, e la nuova arena di Chicago è oggi amministrata 50:50 dalle due franchigie tramite la United Center Joint Venture.

united center chicago blackhawks
(Photo by Jonathan Daniel/Getty Images)

Sono passati 25 anni dall’inaugurazione e lo United Center continua a essere uno dei palazzetti indoor migliori degli Stati Uniti. Negli anni è stato ampliato e ammodernato, e le due franchigie hanno importanti progetti per il futuro, per farne sempre di più un luogo di eventi internazionali e di spettacolo, oltre che di sport. La proprietà di Blackhawks e Bulls continua a essere in mano alle famiglie Wirtz e Reinsdorf, che hanno parlato dello United Center in una lunga intervista con il Crain’s Chicago Business a proposito del passato, del presente e del futuro dell’arena.

«L’area di Chicago dove oggi sorge lo United Center, all’epoca era davvero in pessime condizioni», ricorda Rocky Wirtz, attuale proprietario dei Chicago Blackhawks e figlio di William Wirtz, «e fu necessario abbattere alcune abitazioni e trovare un nuovo posto per le famiglie».

«Sì, la prima cosa da dire è che nulla sarebbe potuto funzionare senza un accordo con la comunità locale», aggiunge Jerry Reinsdorf, classe 1936 e ancora l’attuale proprietario dei Chicago Bulls, come all’epoca della costruzione dello United Center. «Fu molto complicato trovare un punto d’incontro, perché all’inizio del progetto gli abitanti si ribellarono. Non c’era nessuna prospettiva su dove avrebbero potuto andare e noi non eravamo in grado di stimare un compenso economico per la rilocalizzazione. Ma riuscimmo a gestire e organizzare il tutto, garantendo una valutazione delle case più alta di quelle dove sarebbero andati a vivere. E l’arrivo dello United Center cambiò completamente la vita del quartiere».

«Fondare la United Center Joint Venture fu una scommessa, ma ci stavamo rendendo conto che già all’epoca (fine anni Ottanta, nda) i costi per le franchigie stavano salendo vertiginosamente. Il vecchio Chicago Stadium era un edificio straordinario, e costruito così bene da essere impossibile da modificare. Ma gli stipendi dei giocatori iniziavano già ad aumentare, i Detroit Pistons avevano appena costruito il nuovo Palace of Auburn Hills (e avrebbero vinto il titolo NBA nel 1989 e nel 1990, nda) e per competere con loro dovevamo fare qualcosa», prosegue Jerry Reinsdorf. «Certo, non sapevamo che stavamo per costruire un’arena che oggi ospita 200 eventi all’anno!».

chicago united center
Il passaggio di testimone fra il Chicago Stadium (sx) e lo United Center (dx), 1994

«La città di Chicago aveva idee e interesse in questo progetto, ma alla fine nessuno ci aiutò in nulla. Fu un investimento completamente privato», conferma Wirtz. «Lo stato dell’Illinois e la municipalità locale avevano garantito 6 milioni di dollari per la realizzazione delle infrastrutture ma fummo fortunati a riceverne 1,5».

«Il tempismo comunque fu perfetto. Nel 1992 i Bulls erano nel pieno della loro rinascita (i primi due titoli NBA sono datati 1991 e 1992, e avrebbero vinto ancora nel 1993, 1996, 1997 e 1998, nda) e i Blackhawks avevano appena raggiunto le finali del campionato», aggiunge Reinsdorf. «Tutte le 216 suites dello United Center furono vendute prima dell’inaugurazione!».

Non avevamo idea che stavamo per costruire un’arena da 200 eventi all’anno!

Jerry Reinsdorf

Nel corso di questi 25 anni, lo United Center è stato ampliato e migliorato, sia nei servizi al pubblico che nelle strutture. Costato 175 milioni di dollari, e alto 42 metri, venne realizzato ricalcando l’impronta Art Déco del Chicago Stadium, in particolare nei dettagli esterni e della scansione parallela di lunghe e alte finestre in sequenza.

Tra il 2009 e il 2010 si decise per la realizzazione di un intero nuovo livello di tribuna, chiamato 300 Level, dotato di 144 televisori a schermo piatto, nuovi servizi di ristoro e due bar con vista panoramica sull’interno del palazzetto. Al termine del 2010 furono aggiunti altri due bar panoramici e, nel 2013 venne realizzato il cosiddetto “panoramic LED bar”, un locale che si affaccia lungo la terrazza sulla quale, in precedenza, era installata l’insegna luminosa “Welcome to the Madhouse”.

«Lo United Center continua a essere un edificio flessibile, e deve esserlo per poter stare al passo dei cambiamenti nell’esperienza di gara dei tifosi», spiega Danny Wirtz, figlio di Rocky, che conferma: «L’aspetto cruciale di questo edificio sono le dimensioni. Lo realizzammo così grande che ora possiamo adattarlo e gestirlo negli spazi come meglio crediamo. Oggi chi costruisce nuovi impianti sportivi realizza edifici piccoli, lesinando sullo spazio. Invece noi no, e se non l’avessimo fatto così grande non avremmo mai potuto riadattarlo con nuove funzioni che 10-15 anni fa nemmeno pensavamo esistessero».

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«Nei prossimi cinque anni, senza dubbio, ci saranno ancora cambiamenti» anticipa Jerry Reinsdorf, a cui fa ecco il figlio Michael: «Abbiamo 6mila posti auto all’esterno dell’arena ma ormai da molto tempo non abbiamo 6mila automobili che arrivano nei giorni di partita. La gente usa Uber, anche io lo uso, oppure sfruttano i mezzi pubblici. Sicuramente gli spazi dei parcheggi esterni sono il prossimo punto d’intervento».

«E lo stiamo già vedendo», accenna Danny Wirtz, «anche stamattina un bus turistico cittadino si è fermato davanti al palazzetto e ha fatto scendere le persone per permettergli di vedere le statue». All’esterno dello United Center si trovano le statue di Michael Jordan (leggenda dei Chicago Bulls) e di Bobby Hull e Stan Mikita (entrambi ex glorie dei Blackhawks). «Se penso già solo a una cosa del genere, penso alla possibilità che l’esterno dello stadio sia accessibile quotidianamente a livello viario e pedonale».

Secondo Jerry Reinsdorf, il futuro dello United Center passerà anche dalla possibilità di attrarre persone a prescindere dall’evento sportivo: «Mi piace la prospettiva di realizzare una struttura di intrattenimento e svago all’interno dell’arena. Dobbiamo tenere in considerazione la sempre maggiore influenza delle scommesse e dei giochi interattivi negli intervalli delle partite, oltre a creare attrazioni e divertimento per il pubblico. Dovremo puntare a far venire le persone qui per passare del tempo, per divertirsi dentro lo United Center, e che abbiano o no il biglietto per la partita non conta».

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L’atrio all’interno della nuova ala est dello United Center di Chicago (photo HOK)

Nel 2017 è stato inaugurato il nuovo blocco est, addossato al palazzetto, con una superficie di 13mila metri². La nuova ala dell’impianto, progettata dallo studio internazionale HOK, si è integrata nell’edificio originale fornendo nuovi spazi per gli uffici di Blackhawks e Bulls, per la biglietteria e per i negozi ufficiali delle due franchigie, oltre a creare un grande atrio coperto, alto cinque piani, che serve da spazio comune per i tifosi nel pre-partita.

«Negli ultimi 25 anni il modo di vivere lo sport è cambiato enormemente», conclude Danny Witz. «Nel 1994 il tifoso era orientato sulla partita, veniva allo stadio solo per quello. Oggi è tutto diverso, c’è il pre-partita, ci sono gli show degli sponsor e i servizi nell’atrio, l’offerta di cibo e bevande è diventata parte integrante dell’evento. Dobbiamo continuare a trovare quelle singole cose che muovono la passione e i gusti delle persone e continuare a proporgliele all’interno dell’esperienza globale della partita. Spesso anche a prescindere da come effettivamente gioca la squadra in campo».

Anche Michael Reinsdorf è d’accordo, e i prossimi cambiamenti dello United Center andranno di pari passo con l’evolversi del pubblico: «Nel 1994 aprimmo con 216 luxury suites ma dieci anni dopo ci accorgemmo che era impossibile riuscire a venderle tutte, stagione dopo stagione. Allora convertimmo l’offerta creando il BMO Harris Club (un livello luxury di biglietti e abbonamenti, nda), realizzando anche palchi e box. In giro per gli Stati Uniti continuano a copiarci, e noi abbiamo un’arena vecchia di 25 anni! Non vogliamo introdurre novità per il gusto di farlo, o perché lo fanno anche altri. Abbiamo spazi e possibilità e faremo le cose in modo naturale, secondo le nuove necessità del nostro pubblico».

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