Un curioso simbolo esotico sul trofeo di tennis maschile dello Slam londinese.
Dal 1887 l’attuale versione del trofeo di Wimbledon è coronato da un piccolo simbolo esotico e curioso: un ananas. Ma cosa ci fa un frutto del genere sulla coppa di uno dei tornei sportivi più prestigiosi al mondo?
Come accennato, l’attuale versione del trofeo di Wimbledon (per il torneo maschile in singolare, Gentlemen’s Singles) è in uso dal 1887, ed è in realtà la terza versione vista sui campi londinesi dell’All England Club.
La prima in ordine cronologico fu la Field Cup (consegnata ai vincitori del torneo fra la prima edizione, 1877, e il 1883) e la seconda fu la Challenge Cup (1884-1886). Entrambe furono “pensionate” perché era stato stabilito venissero consegnate definitivamente a chi avesse vinto il torneo per 3 edizioni consecutive: cosa che riuscì alla stessa persona, William Renshaw(1).
Il concetto della cessione definitiva del trofeo al tre-volte vincitore è simile a quanto successo nel calcio con la Coppa Rimet per il campionato del mondo, consegnata al Brasile alla terza vittoria (1970) e sostituita dall’attuale trofeo.
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Arrivati a dover sostituire il trofeo per la terza volta in dieci anni, la direzione del circolo (AELTC – All England Lawn Tennis and Croquet Club) spese 100 ghinee per acquistarne una nuova versione, decidendo anche di togliere la regola della consegna definitiva a un futuro pluri-vincitore.
Ok ma… l’ananas?
L’ananas era un frutto già conosciuto in Europa, fin dalla scoperta dell’America del 1492. In realtà, però, ancora nell’Ottocento era poco diffuso ed era considerato raro, molto costoso e appannaggio di pochissime circostanze – sempre nell’ambito dell’alta società.
Era anche utilizzato come regalo unico e prestigioso alle feste, un onore per chi lo riceveva. Proprio come veniva considerato il trofeo di Wimbledon già dalle prime edizioni: l’AELTC decise quindi che coronare la coppa con un ananas avrebbe sottolineato il carattere di assoluto prestigio e unicità del torneo.
Fu un ragionamento molto ottocentesco, proprio di una società britannica aperta all’esotico (per via dei possedimenti imperiali) ma allo stesso tempo continuamente affascinata e sorpresa da ciò che arrivava dall’estero. Lo testimonierà la British Empire Exhibition (1924-1925) che favorirà la realizzazione dello stadio di Wembley, così come l’apertura del Crystal Palace (1851) o la diffusione di specie botaniche esotiche nei giardini di Kew.
Embed from Getty ImagesLa Coppa, realizzata in argento dorato (silver gilt(2)), è alta 46 cm e ha un diametro di 19 cm.
L’iscrizione sulla coppa recita “The All England Lawn Tennis Club Single Handed Championship of the World”, mentre tutto intorno sono incise le date e i nomi dei campioni. Dal 2009, non essendoci più spazio per incidere altre righe, è stato aggiunto un piccolo basamento scuro con fascia argentata sul quale proseguire per le edizioni a venire.
La prima versione del trofeo, la Field Cup, è oggi conservata in esposizione al Museo di Wimbledon, mentre la seconda versione andò perduta. I vincitori del torneo oggi ricevono una replica grande tre quarti la coppa originale.
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…e se fosse stata conservata la regola di consegnare il trofeo definitivamente a chi avesse vinto Wimbledon tre volte consecutive? Bé, allora la coppa sarebbe dovuta cambiare di design almeno altre 9 volte!
Reginald Doherty (4x 1897-1900); Laurence Doherty (5x 1902-1906); Anthony Wilding (4x 1910-1913); Fred Perry (3x 1934-1936); Bjorn Borg (5x 1976-1980); Pete Sampras (3x 1993-1995); Pete Sampras (4x 1997-2000); Roger Federer (5x 2003-2007); Novak Djokovic (4x 2018-2022).
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(1) William Renshaw (1861-1904), tennista britannico che raggiunse il numero 1 del ranking mondiale e vinse 12 tornei del Grande Slam: in effetti li vinse tutti a Wimbledon, con 7 tornei in singolare (di cui 6 consecutivi 1881-1886, ottenendo la concessione definitiva delle prime due versioni del trofeo – a cui si aggiunse poi la vittoria del 1889) e 5 in doppio
(2) silver gilt / argento dorato, è una realizzazione partendo da una base di argento sterling, rivestita da una placcatura in oro ad almeno 10 carati e dello spessore di almeno 2 micron e mezzo
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