Storia architettonica di un luogo sportivo che rappresenta anche l’identità e la storia del popolo delle Hawaii.
Per noi europei può rivelarsi spontaneo identificare le isole Hawaii con i più comuni stereotipi. Quelli che, almeno all’apparenza, le identificano con la classica ideologia vacanziera grazie a immagini di spiagge incontaminate, un ormai riconosciuto skyline e tradizioni dal sapore esotico.
In realtà la situazione storica e culturale di questo arcipelago è sempre stata lontana da questo immaginario. Sin dall’Ottocento, e specialmente durante la reggenza della Regina Lili’uokalani, proprio i contrasti fra hawaiani e persone provenienti da altri territori sancirono la fine del Regno delle Hawaii (1893): una fase di passaggio che portò prima alla Repubblica delle Hawaii (1894) poi al cosiddetto Territorio delle Hawaii (1898), concludendosi il 21 agosto 1959, con la nascita del 50esimo Stato federato degli Stati Uniti d’America.
Una storia affascinante, corredata da eventi drammatici (come la tragedia di Pearl Harbor nel 1941) ma anche affiancata da un’opera di annullamento delle tradizioni del popolo hawaiano – agli inizi del Novecento, per esempio, la lingua hawaiana era bandita nelle scuole. Nonostante ciò, gli hawaiani dimostrarono – e dimostrano – grande fierezza, resistendo tenacemente ai soprusi e persino servendo volontariamente durante il primo conflitto mondiale(1).
Ed è proprio tale sacrificio (con 10mila cittadini delle Hawaii impegnati sul fronte, e secondo alcune fonti 101 vittime) che viene celebrato dal Waikiki War Memorial Natatorium (qui su Google Maps), luogo architettonico e identitario inaugurato nel 1927, quasi ad anticipare la corrente di “ricompensazione” verso il popolo nativo hawaiano condivisa poi negli anni Sessanta.
La struttura, progettata dall’architetto Lewis P. Hobart (autore, fra l’altro, della Grace Cathedral di San Francisco, 1964), riuscì a condensare nella sua morfologia l’essenza più profonda della cultura delle Hawaii. La sua costruzione avvenne negli anni Venti, durante il primo boom edilizio che caratterizzò principalmente l’isola di Oahu, avviando Honolulu verso quello status che oggi le riconosciamo (l’iconico Royal Hawaiian Hotel aprirà proprio nello stesso 1927).
Il turismo cominciava a rappresentare un leitmotiv per l’arcipelago, trainato anche dalle famose “Big Five”, le cinque compagnie che commercializzavano zucchero e che dominavano l’economia locale, favorendo la realizzazione di edifici monumentali. Ma la particolarità del Natatorium consisteva proprio nel dissociarsi, almeno in parte, da tale stile “coloniale”, conservando una facciata in stile Beaux-Arts arricchita però da elementi tipici della cultura hawaiana, alcuni dei quali collocati su un imponente arco a oltre 7 metri di altezza.
Un pregio volutamente espresso dal progetto di Hobart e rivolto all’idea di costituire un memoriale attivo, da vivere quotidianamente grazie a una funzione parallela destinata allo sport e al tempo libero, senza essere vincolato alla sola celebrazione militare “museale”. Ciò rese il Natatorium (più conosciuto dai locali come The Tank) uno dei poli degli sport acquatici delle Hawaii per almeno 50 anni e questo venne reso possibile dalla costruzione di un bacino d’acqua di 100 m di lunghezza che andava oltre la facciata principale e stbailiva un’iconica connessione con le acque dell’oceano. Le stesse che, attraverso una serie di condotti, riempivano la piscina, consentendo l’organizzazione di gare ma anche di semplici corsi per imparare a nuotare in acqua salata, rendendo il Natatorium un edificio anche di rilevante importanza sociale.
Le tribune sul lato est potevano ospitare oltre 7mila persone – quelle che per esempio assistettero all’esibizione di Duke Kahanamoku(2) il giorno dell’inaugurazione (24 agosto 1927) – ma era possibile anche aggiungere alcuni spalti temporanei sul ponte ovest, vicino alla struttura (oggi scomparsa) da cui venivano effettuati i tuffi acrobatici.
Questa sinergia, espressa da un edificio proteso verso l’oceano, quasi lo volesse abbracciare e accogliere, rappresentò sin da subito un’indovinata espressione dell’identità hawaiana, in quanto popolo capace di donare un significato unico a quella distesa blu (con il surf come sport principale ma anche una buona tradizione nel nuoto, in particolare a inizio Novecento con gli olimpionici Pua Kele Kealoha e il già citato Duke Kahanamoku (staffetta 4×200 nelle Olimpiadi del 1920).
Il Natatorium assunse quindi una radicata valenza culturale ma il progetto di Hobart era anche di assoluta avanguardia tecnica. L’impianto è contraddistinto da un reticolo di pilastri e travi in calcestruzzo armato, con i muri di chiusura esterni elaborati attraverso un articolato profilo studiato appositamente per contrastare la forza dell’oceano (grazie a pali di fondazione interrati).
foto tratta da Images of Old Hawaii
La maglia strutturale, variabile, ma all’incirca di 4 x 5,3 m, definisce le tre banchine che confinano il bacino: un elemento altrettanto particolare per via del fondale, studiato appositamente per consentire i tuffi acrobatici, e per il complesso sistema di ricircolo dell’acqua. Tale tecnologia, collocata nei lati nord e sud e caratterizzata da 8 condotti con un diametro di circa 60 cm (4 su ogni lato), secondo Hobart avrebbe dovuto stabilire la necessaria qualità dell’acqua, rendendo il Natatorium una specie di continuum dell’acqua cristallina dell’oceano. Ovviamente, delle griglie, disposte alle due estremità dei tubi, garantivano la sicurezza dei nuotatori, ma all’interno del bacino furono posizionati anche dei portali di chiusura, in modo da isolare completamente la vasca dall’oceano.
Una delle attrazioni principali erano i 5 trampolini disposti sulla svettante torre in acciaio collocata sulla soletta ovest, oltreché per l’elegante tribuna a ridosso della facciata principale. Al di sotto degli spalti trovavano invece spazio tutti i locali funzionali, compreso un grande ufficio (restaurato nel 2000 e attualmente ancora in uso).
Nonostante ciò, con il Natatorium affollato di gente, già nel 1929 l’Honolulu Star-Bulletin criticava la gestione della città per le condizioni non ottimali della struttura. Dopo l’occupazione a uso militare da parte dell’esercito americano durante la Seconda Guerra Mondiale, negli anni Cinquanta la struttura tornò ad essere aperta al pubblico ma, secondo l’Honolulu Advertiser, il 23 aprile 1963 fu nuovamente chiusa per la pessima qualità dell’acqua: era solo un’anticipazione della chiusura ufficiale, che avvenne nel giugno del 1979.
In realtà, il Natatorium aveva rischiato addirittura di essere demolito nel 1965 ma la raccomandazione del sindaco Neal S. Blaisdell, votata anche dall’Honolulu City County, non venne applicata, trovando persino una reazione contraria con l’inserimento di questo impianto prima nell’Hawai’i Register of Historic Places (1973) poi nel National Register of Historic Places (1980).
Più recentemente, nel 2014, il National Trust ha definito il Natatorium un “National Treasure”, sottolineandone la triplice valenza di memoriale, hub degli sport acquatici e gioiello architettonico.
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Eppure, nonostante la sua valorizzazione dal punto di vista culturale, sin dagli anni Settanta si sono continuamente alternate voci sul suo rinnovamento o sulla sua demolizione, analizzando anche il delicato tema ambientale. Ma come appare oggi il War Memorial Natatorium?
Percorrendo in direzione sud la celebre Kalakaua Avenue, il suo profilo si intravede appena, seminascosto dal Waikiki Aquarium e dalle svettanti palme che punteggiano la zona. Poi, quasi all’improvviso, un vasto spiazzo si apre davanti agli occhi, distendendosi fino ad una scultura commemorativa (la “Honolulu Stone”) e oltre, consentendoci finalmente di vedere il Natatorium. Appare in buone condizioni, con un arco straordinariamente proteso verso il cielo ma allo stesso tempo perfetta cornice di ciò che definisce l’orizzonte: l’oceano.
In effetti, il restauro del 2000 che aveva interessato anche le decorazioni della facciata, ha certamente consentito di evitare il completo ammaloramento del prospetto est ma non ha potuto garantire il mantenimento generale della della struttura. Spostandosi su Kaimana Beach(3) e osservando l’interno, si notano infatti le deplorevoli condizioni in cui versa l’impianto, segnalate anche all’esterno da cartelli che vietano l’avvicinamento alle persone. Le banchine sono ormai pericolanti dopo quasi un secolo di sofferenza sotto i colpi delle impetuose correnti oceaniche e alcune sezioni sono addirittura crollate in acqua, rendendo l’epoca in cui svettava la torre per i trampolini un’antica reminiscenza del passato.
Ora la struttura appare spoglia: non c’è più traccia dell’orologio collocato appena oltre l’ingresso né dell’illuminazione tanto curata dall’architetto Hobart. E poi ci sono i problemi di qualità dell’acqua, in realtà già sottolineati in passato. I condotti progettati per garantirne la circolazione, nell’attuale situazione di totale incuria si sono dimostrati insufficienti a mantenere un accettabile livello di salubrità. Le alghe hanno iniziato ad appropriarsi del fondale, rendendo il Natatorium una triste piscina di acqua quasi stagnante.
In questo scenario, e nonostante il grande interesse storico, sono ripartiti i ragionamenti sul possibile smantellamento, magari sostituendo il tutto con una nuova spiaggia protetta da frangiflutti ricostruendo lo storico ingresso principale più a ridosso di Kalakaua Avenue, replicando una parte dell’architettura originale in un luogo differente. Ma si ragiona sulla possibilità di un restyling che recuperi davvero il luogo, ricostruendo le banchine ammalorate con calcestruzzo ad alte performance, installando un nuovo sistema in grado di rendere più efficiente il ricambio dell’acqua e configurando un nuovo fondale inclinato che migliorerebbe l’uso e la sicurezza per le persone.
Per ora, grazie al supporto della comunità (che nel 2018 ha promosso ed effettuato un ulteriore intervento temporaneo di restauro) l’ipotesi della ristrutturazione sembra la più plausibile. Perché in fondo questo luogo rappresenta molto della storia e della cultura delle Hawaii. Lì, al Natatorium, si è potuto assistere alle gesta di alcuni dei personaggi più iconici dei primi anni del Novecento e, più in generale, quel bacino in contatto con l’oceano ha da sempre trasmesso il vero e più recondito spirito hawaiano.
Lo spirito dell’arcipelago e della sua gente, avvalorato tra gli anni Sessanta e Settanta dal grande surfista Eddie Aikau(4) e poi dimostrato nella ricostruzione della splendida Hokule’a, storica imbarcazione tradizionale che ancora oggi solca le acque del Pacifico. Un patrimonio di tradizioni che merita di essere salvaguardato con impegno per le generazioni future.
(1) A conferma di ciò viene riportato un estratto del Washington Post datato 15 luglio 1917: “… the Territory of Hawaii stands in a class by itself among the States and Territories having already furnished nearly 2.000 men as volunteers in excess of the number required frome the islands to fill up the first army.”
(2) Duke Paoa Kahanamoku è riconosciuto come l’inventore del surf moderno. Partecipò come nuotatore a 3 edizioni delle Olimpiadi, ottenendo 3 ori e 2 argenti. Il Waikiki War Memorial Natatorium fu inaugurato il 24 agosto per omaggiare la data di nascita di Kahanamoku.
(3) La presenza della spiaggia di Kaimana Beach è fortemente collegata al Natatorium, poiché quest’ultimo agisce come una barriera frangiflutti a protezione dell’area sud.
(4) Edward Ryon Makuahanai Aikau è riconosciuto come uno dei più grandi surfisti della storia. Modello della cultura e della resistenza hawaiana, Aikau è celebre anche per essere stato il primo guardaspiaggia di Waimea Bay, luogo in cui, quando si verificano determinate condizioni, si tiene una gara di surf in sua memoria.
Cover image: Il Waikīkī War Memorial Natatorium (photo Donna L. Ching via National Trust for Historic Preservation)
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