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L’Arsenal a Wembley in Champions League, un amore mai nato

Quando (e perché) i Gunners giocarono lontano da Highbury fra il 1998 e il 2000.

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Quando l’Arsenal scese in campo contro il Panathinaikos sul prato del vecchio stadio di Wembley, il 30 settembre 1998, si ritrovò in un ambiente quasi surreale, inusuale e in parte disturbante. Nonostante le 73mila persone sugli spalti, l’Arsenal ritrovava la Champions League dopo sette anni dall’ultima apparizione ma non lo faceva ad Highbury, per quello che si sarebbe rivelata una parentesi fra luci e ombre.

Per quella stagione, 1998/99, e la successiva 1999/2000, infatti, i Gunners giocarono le partite interne del massimo torneo continentale sul campo dello stadio nazionale d’Inghilterra, in parte per necessità dettate dalla UEFA, e in parte per una questione di opportunità. Un esperimento che avrebbe poi dato slancio ai progetti successivi del club, con la decisione di lasciare Highbury e trasferirsi all’Emirates Stadium.

A distanza di anni, Arséne Wenger continua a definire “un incubo” l’esperienza dell’Arsenal a Wembley, ed Emmanuel Petit, centrocampista dei Gunners in quegli anni, lo ricorda come una scelta disastrosa. L’Arsenal aveva vinto la Premier League 1997/98, e tornava in Champions League per la prima volta dalla stagione 1991/92 (quando era stata eliminata al secondo turno della vecchia Coppa dei Campioni, per mano del Benfica).

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Vista esterna del vecchio stadio di Wembley, circa 1996 (photo: Martin Thirkettle and licensed for reuse / CC BY-SA 2.0)

Lo stadio di Highbury, già ampiamente ristrutturato in virtù dei nuovi regolamenti inglesi ed europei, aveva sempre avuto la caratteristica di essere un impianto molto piccolo, con pochissimo spazio utile fra campo e gradinate. Le stesse dimensioni del terreno di gioco erano al minimo consentito dai parametri internazionali, 100 x 67 metri, e per l’approdo in Champions League era necessaria l’installazione di cartelloni pubblicitari specifici, nel formato imposto dalla UEFA. Spazio per adeguare facilmente i lati di bordocampo non ce n’era, ma evidentemente l’Arsenal approfittò di questa situazione per portare avanti un discorso diverso e più ampio, relativo al suo stesso futuro.

Non ci siamo mai sentiti a casa a Wembley. Era tutto molto inusuale, e sicuramente per noi non fu un vantaggio.

Arséne Wenger

Non è un caso, infatti, che i Gunners scelsero proprio Wembley come alternativa per le partite europee. E nemmeno che lo fecero per ben due stagioni consecutive, quando il problema del posizionamento dei cartelloni pubblicitari sarebbe stato facilmente risolvibile dopo il primo anno.

Alla fine degli anni ’90 l’Arsenal stava già valutando la possibilità di lasciare Highbury, e trasferirsi in uno stadio più grande. Lo storico impianto del nord di Londra aveva ormai poco più di 38mila posti, per via delle restrizioni con solo posti a sedere, e nemmeno la ricostruzione della North Bank fra il 1992 e il 1993 aveva garantito un ampliamento davvero sensibile. Non c’erano ulteriori margini di manovra per ingrandire l’edificio, compresso com’era fra le file di case adiacenti, e il progetto di ampliamento più ottimistico poteva far salire la capienza al massimo a 48mila posti, un dato ritenuto comunque troppo basso dalla dirigenza del club londinese. David Dein, vice-presidente dell’Arsenal fra il 1983 e il 2007, e vero deus ex machina delle fortune dei Gunners nei primi dieci anni di gestione-Wenger, vedeva invece in un nuovo stadio (grande il doppio di Highbury, e che potesse rivaleggiare con Old Trafford) la chiave di volta per portare il club nel calcio del nuovo millennio.

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L’occasione del ritorno in Champions League nell’autunno 1998, e la necessità di adeguare gli spazi del campo su richiesta dell’UEFA, fornì a Dein e all’Arsenal l’occasione per testare sé stessa nella prospettiva di un nuovo stadio. Come avrebbe reagito il pubblico? Il club sarebbe stato in grado di attirare il doppio degli spettatori che solitamente riempivano Highbury?

La scelta cadde su Wembley, unica vera opzione all’interno di Londra con una capienza adeguata (circa 73mila posti all’epoca), decisamente riconoscibile a livello internazionale e, soprattutto, prima opzione della dirigenza dei Gunners per un’idea di groundsharing futura: David Dein, prima ancora di pensare alla costruzione di un nuovo stadio, aveva intenzione di spostare l’Arsenal a Wembley, condividendolo con la Nazionale inglese. Non tutto, però, andò come previsto. Nonostante gli ottimi dati di affluenza, considerando anche la distanza del quartiere di Brent, dove si trova Wembley, da quello di Islington, casa dei Gunners, i risultati sul campo furono pessimi.

L’Arsenal giocò 6 partite in due anni di Champions League, vincendone solo una e perdendone ben tre (fra cui la sconfitta contro la Fiorentina, firmata dal gol di Gabriel Batistuta). Quelle due stagioni rimangono le uniche in cui l’Arsenal allenato da Wenger non superò la fase a gironi della competizione, su un totale di 18 partecipazioni fra il 1998 e il 2017.

I risultati dell’Arsenal a Wembley nei due anni di Champions League:
  • 30 settembre 1998, Arsenal vs Panathinaikos 2-1 (affluenza: 73.455 spettatori)
  • 21 ottobre 1998, Arsenal vs Dynamo Kiev 1-1 (73.256)
  • 25 novembre 1998, Arsenal vs Lens 0-1 (73.707)
  • 22 settembre 1999 Arsenal vs AIK Solna 3-1 (71.227)
  • 19 ottobre 1999, Arsenal vs Barcellona 2-4 (73.091)
  • 27 ottobre 1999, Arsenal vs Fiorentina 0-1 (73.336)

L’Arsenal patì un forte distacco ambientale durante le sue gare a Wembley, che confermava quanto quello stadio fosse ormai troppo dispersivo rispetto alle dinamiche del calcio moderno. In più, anche la routine pre-partita cambiava completamente e, a causa del traffico cittadino, i Gunners arrivarono anche in ritardo in occasione di una delle sei partite giocate fra il 1998 e il 1999. «Non ci siamo mai sentiti a casa a Wembley. Era completamente diverso da ciò a cui eravamo abituati, troppo dispersivo, e per noi giocare lì rappresentò senza dubbio uno svantaggio», dichiarò Arséne Wenger qualche anno dopo, ricordando quella parentesi.

Sul piano programmatico, però, l’esperimento era stato positivo. Nella primavera del 1998, l’Arsenal aveva anche tentato di acquistare lo stadio di Wembley, ma la Football Association inglese si era opposta, perché quella mossa avrebbe potuto minare le chances di successo della candidatura dell’Inghilterra a ospitare i Mondiali 2006 (un dettaglio che la FIFA, successivamente, negò potesse essere decisivo). Con il vincolo dei beni culturali posto sulla Tribuna Est di Highbury due anni prima, l’Arsenal si ritrovò quindi a dover modificare i suoi piani, portandoli sulla strada che ha condotto fino alla situazione odierna.

Nell’autunno 1999, il club annunciò l’avvio del progetto per costruire un nuovo stadio da 60mila posti nell’area di Ashburton Grove, a poca distanza da Highbury (che sarebbe stato, invece, coinvolto dal progetto di trasformazione a uso residenziale). Dopo sette anni dall’annuncio, l’Emirates Stadium fu inaugurato nell’estate 2006 diventando il nuovo stadio di casa dell’Arsenal.

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“Wembley, la Storia e il Mito”, di Antonio Cunazza (Urbone, 2021)

Cover image: Il biglietto della gara di Champions League fra Arsenal e Barcellona, giocata a Wembley nell’ottobre 1999 (img: via eBay)

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