Storia e cambiamenti di un simbolo dell’architettura sportiva italiana.
Non capita spesso di provare emozioni molto forti, e mai mutate nel tempo, visitando uno stadio di calcio. Se ogni tifoso ha le sue preferenze di luoghi già visti o che desidera poter vedere prima o poi, lo Stadio Meazza di Milano riesce a rappresentare a livello mondiale il senso di qualcosa di più alto: a tutti gli effetti, un’icona.
Soprannominato “La Scala del Calcio”, in riferimento al celebre Teatro cittadino, lo stadio di San Siro rappresenta nel modo migliore il valore, lo stile e l’eleganza che si percepiscono fra le sue rampe e le sue alte torri, e racconta da quasi un secolo la storia del calcio italiano e la tradizione sportiva di Milano e dei milanesi.
Il 19 settembre 1926 l’impianto di Milano San Siro viene inaugurato con la disputa del derby Milan-Inter (risultato finale 3-6). Sul territorio del Comune di Trenno, accorpato a Milano appena due anni prima, era stato costruito un impianto non soltanto pensato per il calcio, ma come fulcro centrale di un’area polisportiva cittadina.
Un San Siro inglese
Vista la presenza dell’adiacente Ippodromo del Trotto, la nuova struttura era un utile appoggio logistico, con i locali sotto la tribuna adibiti a scuderie per i cavalli e magazzini di foraggio. C’era, quindi, uno stretto rapporto fra le due entità, con il nuovo stadio in deferenza verso le attività ippiche che, per prime, avevano segnato sportivamente il destino dell’area.
Il nome dello stadio, così come per il quartiere, derivava dalla Chiesa di San Siro alla Vepra, costruita prima dell’anno 1000 d.C., e della quale oggi resta visibile l’abside, addossata a una villa in via Masaccio. L’impianto poteva ospitare 35-40mila spettatori, era stato edificato in poco più di 13 mesi ed era un perfetto stadio all’inglese. Al progetto avevano lavorato l’ingegnere Alberto Cugini e, soprattutto, l’architetto Ulisse Stacchini: fedele ai canoni dell’Art Nouveau, era legato ai dettami del liberty mittel-europeo con il quale aveva tratteggiato i profili di vari edifici residenziali milanesi. Stacchini, inoltre, regalerà a Milano anche il progetto della Stazione Centrale, quasi coetanea del Meazza, con la sua splendida galleria coperta dell’atrio, ispirata al gusto tedesco dell’epoca.
Lo stadio era composto da quattro gradinate indipendenti di diverse altezze, e solo la tribuna principale (oggi corrispondente alla Tribuna Rossa) era dotata di una copertura in ferro. Pochi elementi tardo-neoclassici segnavano l’esterno, in particolare i timpani degli ingressi alle tribune e il paramento in rilievo del basamento che seguiva la scansione regolare delle aperture.
Costato meno di due milioni di lire dell’epoca, all’atto dell’inaugurazione San Siro diventa il nuovo stadio del Milan, mentre l’Inter continua a giocare all’Arena Civica, dove rimarrà fino al Secondo Dopoguerra. D’altronde l’artefice della costruzione dell’impianto era stato Piero Pirelli, l’allora presidente del club rossonero e figlio di Giovan Battista Pirelli, fondatore dell’omonima azienda produttrice di pneumatici che molti anni più tardi diventerà, per una curiosa coincidenza, sponsor storico dell’Inter.
Negli anni Venti non si erano ancora ben comprese le potenzialità del calcio, e la struttura di San Siro lo dimostrava con una progettazione efficace e ridotta all’essenziale. Le cose iniziano a cambiare verso la fine degli anni ’30: nel 1935 la proprietà dell’impianto passa al Comune di Milano, mentre le due squadre della città iniziano a ottenere risultati positivi e un buon seguito di pubblico, e lo stadio entra finalmente nel raggio di attenzioni dei progetti sportivi comunali.
È così che, con il progetto dell’ing. Bertera e dell’arch. Perlasca, si procede a un ampliamento, per un costo finale quasi identico a quello servito per la costruzione iniziale. Vengono ingrandite le due tribune principali e costruiti gli angoli curvi di raccordo che riuniscono l’intera struttura in una prima forma “a catino” – quella che, con il tempo, plasmerà lo stadio nella sua forma stilistica di base arrivata fino ai giorni nostri.
Con una capienza salita a 60-65mila (ma ufficialmente dichiarata di 150mila) fino al 1950 lo Stadio San Siro risulta l’impianto più grande del mondo, anche se i calcoli di capienza e affluenza sono in parte imprecisi in un’epoca in cui tutto il pubblico può assieparsi in piedi sui gradoni delle tribune.
Il Secondo Dopoguerra
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, comunque, il calcio diventa la grande passione degli italiani, il Milan vince lo scudetto (1951) dopo quasi quarant’anni di astinenza e lo stadio milanese pretende un nuovo ampliamento. Sembrano cronache di un dibattito attuale ma avvengono oltre mezzo secolo fa: ristrutturare San Siro o costruire un nuovo stadio? E ancora, meglio un nuovo impianto predisposto anche alle gare di atletica (per un’eventuale candidatura olimpica di Milano), magari da costruire a poca distanza o in un’altra parte della città, oppure spostarsi all’Arena Civica?
Paradossalmente Milan e Inter caldeggiavano il trasferimento all’Arena in centro città: c’erano una serie di lavori di ristrutturazione da mettere in preventivo, ma anche una garanzia di migliori servizi e una capienza perfino maggiore. Alla fine, però, prevalse la scelta della conservazione: il progetto, affidato all’ing. Calzolari e all’arch. Ronca (1955), prevedeva il mantenimento del catino esistente e la costruzione del secondo anello di gradinata a sbalzo, il quale si reggeva staticamente su un fascio di rampe elicoidali che avvolgeva esternamente la struttura originale. Uno slancio architettonico di enorme valore, realizzato con un virtuoso impegno di cantiere che tenne fede ai 500 giorni di lavoro previsti e permise il continuo svolgersi delle partite senza alcun disagio.
Lo stadio, così rinnovato, diventerà quello di Rivera e di Mazzola, di Boninsegna e del gol di Hateley, fino alla fine degli anni Ottanta. E ancora, lo stadio delle panoramiche esterne in cartolina con le centinaia di automobili parcheggiate nel piazzale, o delle file di tram in arrivo e in partenza in un continuo viavai d’altri tempi, o dei nebbioni durante le partite. Quel senso così “milanese” di questo stadio, racchiuso idealmente nelle prime strofe della famosa canzone di Roberto Vecchioni, “Luci a San Siro” (che in realtà, però, faceva riferimento ad altri luoghi, nonostante fosse bello pensare che appartenesse un po’ alle gradinate dell’impianto).
Notti Magiche
San Siro resterà così per quasi quarant’anni, fino all’arrivo del Campionato del Mondo di calcio del 1990. Nel frattempo intitolato al più grande calciatore milanese di sempre, Giuseppe Meazza, lo stadio subisce un ampliamento importante in occasione dei Mondiali, che ne modifica la percezione e la simbologia nell’immaginario collettivo. Il progetto è firmato dagli architetti Ragazzi e Hoffer e prosegue sull’idea di un intervento nel rispetto e nell’evoluzione dell’esistente.
Così com’era successo nel 1956, la struttura già in essere viene abbracciata da nuovi elementi: 11 torri cilindriche, a rampa elicoidale, vengono addossate all’esterno e fungono da unico supporto per il nuovo terzo anello che si sviluppa su tre lati dello stadio. La Tribuna Arancio, sul lato dell’Ippodromo, rimane invece a due anelli per mancanza di spazio su via Piccolomini che separa i due complessi sportivi.
Viene aggiunta anche la copertura, che si erge sulle quattro torri angolari principali ed è sostenuta da un sistema di enormi travi reticolari dipinte con un acceso colore rosso, da quel momento nuovo simbolo iconico dello stadio. I lavori si svolgono senza chiudere l’impianto e, anzi, lo scenario del biennio 1988-1990 che fa da sfondo alle partite di Inter e Milan diventa ancor più suggestivo (su Archistadia l’abbiamo raccontato qui).
Quello di Italia 90 è il passo che definisce l’epica di San Siro. Il terzo anello ha una pendenza di 37°, quasi senza eguali in Europa, come solo l’anello superiore dell’Estadio Mestalla di Valencia o il quinto anello dell’Estadio Bernabéu di Madrid. Il Meazza diventa a tutti gli effetti uno degli stadi più incredibili del mondo grazie alla sua capacità di creare un impatto visivo interno tanto opprimente quanto emozionante sia per il pubblico che per i calciatori, al punto da far coniare la definizione “non tutti hanno la personalità per giocare davanti al pubblico di San Siro”.
Negli anni Novanta lo Stadio Meazza si apre anche al calcio contemporaneo, assiste ai trionfi del Milan di Berlusconi e alle magie del “Fenomeno” Ronaldo, fino a ospitare due finali di Champions League, nel 2001 (Bayern Monaco-Valencia) e nel 2016 (Real Madrid-Atlético Madrid).
Oggi è uno stadio ancora ricco di forti contraddizioni sia in alcuni suoi elementi che in certi aspetti di funzionalità. Per la sua stessa natura di matrioska architettonica, conserva dentro di sé i pregi e i difetti di un edificio che si è rinnovato nel tempo, ma sempre uno strato sull’altro. Nonostante tutto, però, San Siro riassume al meglio il significato di luogo sportivo: è il simbolo di un secolo di storia del calcio italiano e mondiale, è un luogo di costume e società che ha raccontato Milano nel Novecento ed è un esempio di architettura sportiva d’eccellenza per il nostro Paese.
Nel celebrare lo stadio Meazza, Archistadia ha il privilegio di ospitare, a chiusura dell’articolo, il pensiero di Roberto Beccantini, una delle più grandi firme del giornalismo sportivo italiano.
Parlare di San Siro, sia che compia gli anni, come in questo caso, sia che li veda compiere ad altri stadi, è un piacere, non soltanto un dovere. Come scrissi sulla «Gazzetta dello Sport», negli stadi sono nati amori e morti uomini, al grido di «né teatri né bordelli» abbiamo permesso che si trasformassero in covi, in trincee di fili ostinati prima ancora che spinati. Sono stati orrendi lager e appassionati talami, sono stati tutto e, spesso, tutti noi.
Ricordo la prima volta che varcai i cancelli di San Siro. Stagione 1963-’64; partita, Milan-Bologna 1-2. Era il Bologna di Fulvio Bernardini, del «Così si gioca solo in paradiso». Era il periodo in cui si dicevano le preghiere e si recitavano le formazioni, Boniperti-Charles-Sivori, Negri-Furlanis-Pavinato, Sarti-Burgnich-Facchetti.
Ecco: San Siro «in Milano» è una scheggia di storia d’Italia, e non solo di calcio, un’arena inglese nel senso ludico e filosofico del termine, un inno all’architettura della sostanza (e non della forma). Prima che costruissero lo Juventus Stadium, quando pensavo al fattore campo, pensavo esclusivamente a San Siro, o a Marassi.
Cemento armato. Cemento amato.
Roberto Beccantini
Roberto Beccantini è nato a Bologna il 20 dicembre 1950. Giornalista professionista dal giugno 1972 è uno dei più importanti giornalisti sportivi del panorama italiano. Dal 1970 a Tuttosport, poi dieci anni a La Gazzetta dello Sport come responsabile del calcio internazionale, ha scritto per La Stampa dal 1992 al 2010. Ha seguito nove Olimpiadi estive, nove Mondiali di calcio, otto Europei e tutte le finali di Champions League dal 1992 al 2010. Collabora con il “Guerin Sportivo” e “il Fatto quotidiano”.
Questo articolo è stato pubblicato in versione originale in occasione dei 90 anni dello Stadio San Siro, il 19 settembre 2016. Ultimo aggiornamento, 19 settembre 2021.
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