Gli effetti del controverso trasferimento del club londinese nel suo nuovo stadio.
Molte polemiche, di natura diversa, si sono rincorse nel periodo compreso fra l’annuncio del trasferimento dal vecchio Boleyn Ground al nuovo stadio olimpico londinese, il 22 marzo 2013, e il debutto del West Ham nel nuovo impianto, all’inizio della stagione 2016/2017. Ma il rapporto fra gli Hammers e il London Stadium (com’è stato rinominato dopo i Giochi Olimpici di Londra 2012) rimane molto controverso, soprattutto nei confronti dei tifosi.
Un riscontro diretto lo si ha nel parlare con alcuni di loro, come ha fatto Stefano Faccendini, scrittore e fine conoscitore delle dinamiche del calcio inglese, che ha incontrato Mark, tifoso 42enne del West Ham e abbonato insieme a suo figlio già dalla prima stagione nel nuovo impianto.
Mark è andato per la prima volta al Boleyn Ground, per una partita del West Ham, in occasione dell’ultima giornata del campionato 1985/86 ma, nei primi tempi, complice l’università frequentata fuori sede, le partite viste nello stadio di casa degli Hammers erano rimaste sparse di anno in anno. Successivamente, iniziò ad abbonarsi e per quasi vent’anni ha continuato a farlo, anche in occasione del trasferimento nel nuovo stadio.
«Quando venne ufficializzato che ci saremmo trasferiti in un nuovo impianto le reazioni furono discordi: era già nell’aria da tempo, in ogni caso, e le ragioni a favore di uno spostamento erano sotto gli occhi di tutti. Boleyn Ground era vecchio, scomodo e soprattutto non era in una bella zona: difficile da raggiungere, un incubo per ritornare a casa nel giorno della partita e c’era il pericolo di fare brutti incontri al buio lungo Green Street. Insomma, anche se era la nostra casa, molto tifosi si dissero a favore del cambiamento e, nel momento in cui il Tottenham cercò di accaparrarsi l’Olympic Stadium, anche chi era indeciso si schierò a favore. Se quello stadio toccava a qualcuno non era certo agli Spurs, ma a noi».
Era anche chiaro che Boleyn Ground non si potesse espandere, anche se qualche progetto era stato considerato nel corso degli anni, ma la proprietà del club vedeva il trasferimento all’Olimpico come una possibilità di aumentare lo status del West Ham e, forse, renderlo più competitivo. Un sentimento non per forza condiviso dai tifosi: «Nessuno si era illuso che il trasferimento ci potesse far diventare un club più grande o più importante. Chi era d’accordo, semplicemente, lo era perché guardava ai fatti e a una questione di opportunità».
Ma i problemi, nel nuovo impianto, non hanno tardato a presentarsi. Soprattutto riguardo la funzionalità dello stadio rispetto al calcio, uno degli elementi più critici dell’impianto e della sua forma ovale dedicata principalmente all’atletica: «La mia prima esperienza è stata molto positiva: si giocava un match valido per i preliminari di Europa League, in una bella serata estiva, lo stadio era pieno e tutti sembravano di ottimo umore», ricorda Mark. «Poi sono cominciati i problemi. Molte persone vogliono ancora seguire la partita in piedi, ed era prevedibile. A Boleyn Ground c’erano settori dov’era un’abitudine, nonostante i nuovi regolamenti. Si sapeva e si tollerava, ma ora non è più permesso. In più, nel nuovo stadio, ci sono molti settori con posti a visibilità limitata e, inoltre, l’assenza di separazione tra tifosi delle due squadre ha rappresentato un problema in più di una partita».
Tutto questo “London Stadium”, “London Club”, eccetera. Sono le persone dietro il marketing del West Ham che spingono per questa specie di nuova identità.
Nel nuovo London Stadium, peraltro, non era stata prevista un settore “Family Area” ben delineato (nonostante il regolamento della Premier League lo preveda), e venne ricavato in modo piuttosto affrettato all’interno di una delle gradinate (nella prima campagna abbonamenti nel nuovo impianto, il West Ham aveva venduto 10mila tessere a ragazzi Under 16). «So anche di persone che, nel passaggio da Boleyn Ground al nuovo stadio, sono state convinte dal dipartimento commerciale del club a cambiare posto per rinnovare il loro abbonamento. E tutto per un prezzo più alto, che era ciò che contava per il club. E ora, tutte quelle persone che guardavano la gara insieme e in piedi, non sono più nello stesso settore ma sono disseminate nello stadio».
C’è, infatti, un problema di perdita di identità piuttosto evidente, che ha accompagnato la nuova era del West Ham nell’ex impianto olimpico londinese. L’anima stessa del club era connotata con il quartiere di Upton Park (come ben evidenziato anche dal libro di Roberto Gotta, “Addio West Ham”, acquistabile qui) anche, e soprattutto, a livello sociale, e la migrazione a Stratford non ha solo annacquato l’immagine degli Hammers dal punto di vista dello stadio ma anche nel rapporto diretto con la sua gente.
«Se i tifosi sono stufi di tutto questo “London Stadium”, “London Club”, eccetera? Sì, un po’. Sono le persone dietro il marketing del West Ham che hanno spinto per questa specie di nuova identità. Sulla denominazione dello stadio, in effetti, potevamo fare poco, perché cosi si chiama e comunque non è nostro. L’aver inserito il nome “London” sullo stemma, invece, ci umilia un po’: è come se si volesse dire che non siamo grandi o famosi abbastanza e quindi dobbiamo aggiungere “Londra” al nostro simbolo, quando invece qualsiasi tifoso di calcio al mondo sa chi siamo e di dove siamo, e conosce la nostra storia».
Le polemiche sulla gestione del London Stadium, non si placano nemmeno a distanza di qualche anno dal trasferimento del West Ham. L’impianto, di proprietà comunale e gestito direttamente dalla E20 Stadium LLP (sussidiaria della London Legacy Development Corporation, che opera per conto della città di Londra), è in costante perdita finanziaria, con un aggravamento di 4 milioni di sterline sul bilancio 2019 (per un totale di 27 milioni £) rispetto agli anni precedenti. All’inizio del 2020, il West Ham ha annunciato l’installazione di due nuovi settori di gradinata che andranno a rettificare le curve dietro le porte, permettendo di avvicinare i tifosi all’azione. Saranno, in ogni caso, settori rimovibili all’occorrenza e l’operazione avrà un costo complessivo di poco superiore a 11 milioni di sterline.
Archistadia ringrazia Stefano Faccendini per la gentile disponibilità a concederci la pubblicazione di alcuni brani dell’intervista. Questo articolo è stato pubblicato originariamente su Archistadia, in formato ridotto, l’8 ottobre 2016.
Cover Image: Photo by Stephen Pond/Getty Images via OneFootball
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