Un estratto dall’articolo pubblicato sul n349 della rivista specializzata TSPORT.
(collab) Leggi la versione integrale di questo articolo che ho scritto per il sito web della rivista TSPORT – Sporteimpianti, qui
Gli stadi di proprietà pubblica sono un chiaro retaggio di uno sviluppo dello sport italiano nato su base comunale nella prima metà del Novecento, e arrivati ai giorni nostri questa situazione può diventare uno scoglio spesso difficilmente sormontabile verso il rinnovamento, soprattutto se manca una forza economica adeguata da parte dei club calcistici che vorrebbero proporre un’idea alternativa concreta.
Mediamente vecchio di almeno 50-60 anni, e ristrutturato pochissime volte se non mai, lo stadio italiano di proprietà del Comune viene dato in gestione alla società di calcio, che ne fa uso e che ne garantisce una manutenzione ordinaria, dietro pagamento di un affitto annuale o pluriennale. Si crea così un rapporto di comodo dove la vera vittima è l’edificio stesso, lentamente abbandonato a sé stesso, in un meccanismo dove (semplificando) la municipalità riceve un introito senza doversene occupare, mentre il club lo utilizza senza l’impegno di possederlo (e di gestirlo tout-court, con spese, progetti, rinnovamenti ecc).
[…] Anche in presenza di progetti di nuovi stadi o proposte di restyling, diventa difficile uscire da questo status quo e finora, in Italia, le uniche soluzioni virtuose si sono risolte sulla base di un passaggio definitivo del bene dalla municipalità al soggetto privato. […] Ragionando sui possibili scenari, il dialogo mediatico italiano spesso volge lo sguardo agli esempi europei, dove non è raro trovare club direttamente proprietari del proprio stadio e quindi apparentemente più “liberi di agire”, di modificare o rinnovare la struttura, e slegati da normative locali che in Italia vengono viste come un ostacolo al progresso.In realtà, come sempre, non funziona tutto davvero così. […]
A fronte di queste libertà c’è però sempre un delicato percorso burocratico a cui i club devono attenersi per ricevere l’approvazione degli eventuali progetti, e che passa sempre da un dibattito pubblico, da osservazioni e modifiche comunali, da un riscontro con i Beni Culturali e da un preciso meccanismo di dialogo costruttivo (che, alle volte, può anche portare allo stop al progetto).
Vista esterna dello Stade Matmut Atlantique di Bordeaux (photo: Fred Romero / flickr / creative commons CC BY 2.0)
Più che al mondo anglosassone, quindi, dall’Italia bisognerebbe invece fare riferimento a un altro Paese europeo, molto più vicino a noi per tradizione, sviluppo e gestione sportiva e infrastrutturale: la Francia.
[…] La situazione di Bordeaux è un monito importante in tal senso, e parte dalla decisione di sostituire lo storico (ma ormai vecchio) Stade Chaban-Delmas. Inaugurato nel 1924, esempio di architettura Art déco per lo sport e oggi edificio storico vincolato dai Beni Culturali […] fu quindi affiancato dal nuovo Stade Matmut Atlantique (v. TSport 299), progettato dal celebre studio Herzog & de Meuron e con una capienza di circa 10mila posti in più rispetto al suo predecessore. E ancora di proprietà comunale.Quello che sarebbe dovuto diventare la chiave di svolta per il futuro del Bordeaux, un nuovo impianto moderno, entusiasmante, che fornisse ai Girondins la base per il salto di qualità a livello sportivo, si sta invece rivelando un’operazione fallimentare e disastrosa a livello economico, tanto che la sua gestione è perennemente in perdita…
“Gli stadi di proprietà pubblica in Italia e il caso di Bordeaux” è stato pubblicato sulla rivista specializzata TSPORT n349, gen-feb 2023, interamente dedicato al ruolo della pubblica amministrazione nell’ambito degli impianti sportivi (in versione cartacea e web).
Leggi la versione integrale di questo articolo sul sito web della rivista TSPORT – Sporteimpianti, qui
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Cover image: Vista aerea generale dello stadio Bentegodi di verona (photo: Arne Müseler / Wikimedia Commons CC BY-SA via verona.com)
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