Il commento di Francesco Ippolito, giornalista e ingegnere strutturista, sul destino dello Stadio San Siro.
“Che c’è di strano, siamo stati tutti là”, cantava Roberto Vecchioni a proposito di San Siro – anche se il testo della canzone era ispirato a ricordi ed emozioni nelle sere nebbiose del quartiere, e il riferimento allo Stadio Meazza diventerà un’abitudine popolare solo nel tempo. Proprio da quella memoria collettiva ha preso spunto il commento di Francesco Ippolito, giornalista e ingegnere civile strutturista, che ha voluto esprimere la sua visione sul futuro dello stadio milanese, dopo gli ultimi sviluppi che prefigurano una futura demolizione, con un messaggio netto: rigenerare, non cancellare.
Nel suo lungo post LinkedIn – intitolato non a caso “Luci a San Siro non ne accenderanno più” – l’ingegner Ippolito ha aperto un lungo dibattito, definendo la Scala del Calcio come un “manuale vivente di evoluzione tipologica”. Il ragionamento – supportato da diversi esperti del settore e da decine di migliaia di tifosi, è tecnico prima che emotivo:
Dal 1926 il Meazza è cresciuto per strati: quattro tribune rettilinee all’origine; poi l’ampliamento pre-bellico; quindi, negli anni ’50, il secondo anello con le celebri rampe elicoidali che risolvono afflussi e carichi diventando icone strutturali; infine Italia ’90 con il terzo anello indipendente e la grande copertura in acciaio sorretta dalle torri cilindriche. È un manuale vivente di evoluzione tipologica: dal bowl “inglese” alla macchina contemporanea per eventi. Quel tetto resta un capolavoro: travi principali che collegano le quattro torri, grandi aggetti, reticolo di travi intermedie, un equilibrio tra masse e spinte che ancora oggi fa scuola. Chi fa strutture sa cosa significhi far lavorare insieme calcestruzzo e acciaio su luci così importanti.
Non un collage, suggerisce Francesco Ippolito, ma la prova che l’ingegneria può aggiornare un’icona rispettandone il DNA.

Il punto cruciale, nel suo intervento, è il valore strutturale della copertura: travi principali che legano le quattro torri, grandi aggetti, un reticolo di travi secondarie che compone un equilibrio sofisticato tra masse e spinte. Dietro l’immagine simbolica di San Siro c’è dunque una scuola di progettazione che parla ancora al presente. E Ippolito riassume anche l’intervento oggi sul tavolo:
Cosa prevede il piano attuale? Un nuovo stadio per FC Internazionale Milano e AC Milan da 71.500 posti sull’area parcheggi/Parco dei Capitani, con prima fase 2027-2030 (nuovo tunnel Patroclo, impianto e podio), seconda fase dal 2031 con demolizione parziale del Meazza e apertura del nuovo impianto, terza fase 2032-2035 per rifunzionalizzare l’area residua. È previsto che del vecchio stadio resti circa il 9% (porzione Curva Sud e parte della Tribuna Arancione) e la rimozione di circa 91.000 m³ di calcestruzzo. La cessione dell’area ad Inter e Milan è indicata intorno ai 197 milioni.
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Da ingegnere, la sua tesi è che esistano alternative praticabili prima di azzerare quasi tutto.
Consolidamenti selettivi del secondo anello e delle torri; retrofit sismico e materico; una nuova pelle leggera e performante per la copertura – anche fotovoltaica – capace di migliorare comfort e consumi; riconfigurazione dei flussi e dei posti premium dentro gli invasi esistenti; prato ibrido con gestione avanzata di luce e ventilazione; digital twin per manutenzione predittiva. E soprattutto un metodo: lavorare a stadio vivo (come propose peraltro Webuild solo qualche mese fa), con cantieri perimetrali, fasi notturne, riuso e riciclo spinto dei materiali, minimizzando impatti urbani e carbonio incorporato disperso da una demolizione massiva.
Il messaggio, in controluce, è culturale oltre che tecnico. Demolire significa perdere identità e una “lezione di ingegneria che non si insegna nei libri”; rigenerare vuol dire tenere insieme memoria, funzione ed economia. Per questo l’ingegnere Francesco Ippolito propone di aprire un concorso internazionale per una “rigenerazione profonda” del Meazza, con obiettivi misurabili su sicurezza, comfort, sostenibilità e ricavi. E magari trasformarlo in uno stadio di proprietà per Inter e Milan. Un approccio competitivo e trasparente, capace di far dialogare tutela e innovazione e di preservare a Milano la capacità di ospitare grandi eventi.
Il finale è una dichiarazione di principio che suona come un appello: “La storia del calcio merita futuro, non macerie”. Le luci a San Siro, insomma, possono ancora accendersi. Ma solo se l’ingegneria non sarà chiamata a cancellare, ma a trasformare.
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cover img: Vista dello stadio San Siro di Milano dal Parco di Trenno (photo: Antonio Cunazza, tutti i diritti riservati – vietata la riproduzione senza il consenso dell’autore)
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