A Mansfield la seconda vita dell’iconico maxischermo del vecchio stadio inglese.
È la sera del 18 giugno 1996, e la scritta “Olanda 1 – Inghilterra 4” è visibile da tutto il pubblico presente sugli spalti di Wembley: tanti piccoli quadratini gialli la compongono sul tabellone luminoso appeso alla copertura dello stadio. La terza partita del Gruppo A dei Campionati Europei di calcio è appena terminata con la vittoria dei padroni di casa, e siamo nel pieno di un’estate entusiasmante per i tifosi inglesi.
Secondo molti, è questo il torneo che decreta il “ritorno a casa” del calcio, come cantano i Lightning Seeds, una band britpop di Liverpool, nel loro singolo che diventa anche l’inno di una nazione, Football’s coming home (Three Lions, pubblicato il 20 maggio 1996).

Il punteggio segnato a Wembley in quella sera di metà giugno del 1996, resterà per molto tempo una delle immagini calcistiche più iconiche nella memoria dei tifosi inglesi. Una vittoria firmata dalle doppiette di Alan Shearer e Teddy Sheringham, il manifesto perfetto di una grandissima generazione di calciatori che si fermerà, però, a un passo dal sogno, contro la Germania in semifinale.
Il maxischermo resterà in uso fino all’ultima partita di sempre giocata nel vecchio impianto: Inghilterra-Germania 0-1, sabato 7 ottobre 2000, gara valida per le qualificazioni al Mondiale di Giappone-Corea di due anni dopo. Al passo d’addio del glorioso stadio nazionale le cose saranno molto diverse dall’estate di quattro anni prima, e l’arbitro italiano Stefano Braschi non avrà soltanto l’onore di dirigere gli ultimi novanta minuti di calcio nel più affascinante stadio del mondo: sarà anche la partita che segnerà l’addio dell’allora allenatore della Nazionale inglese, Kevin Keegan, che si dimetterà nel dopo-gara. Nel dicembre 2002 cominciò la demolizione dello stadio e nel 2003 partirono i lavori per il nuovo stadio, completato all’inizio del 2007.
Nel 2005, un sondaggio pubblico per scegliere il nome del nuovo ponte pedonale di collegamento allo stadio vede l’ironica vittoria dell’opzione “Dietmar Hamann Bridge”, in riferimento a Dietmar Hamann, centrocampista tedesco e autore del gol vittoria della Germania in quella partita dell’ottobre 2000. Con una correzione “a tavolino” dei risultati si decide per White Horse, in onore di Billy, il famoso cavallo della polizia entrato in campo per mettere ordine tra la folla durante la finale di FA Cup del 1923 (appunto soprannominata “The White Horse final”).

Dai pomeriggi assolati del 1996, che facevano sognare i tifosi inglesi, fino al declino improvviso degli ultimi mesi sportivi del 2000, il vecchio stadio di Wembley aveva corso su un ottovolante di situazioni perfino esagerato per fare da cornice al passo d’addio definitivo. A distanza di vent’anni, con un nuovo impianto totalmente ricostruito sulle proprie ceneri, quel maxischermo luminoso che segnava i risultati dell’Inghilterra all’ombra delle due torri è ancora in funzione. O meglio, lo è di nuovo: si trova allo stadio Field Mill di Mansfield, nella contea del Nottinghamshire, in quarta divisione inglese.
Ci sono voluti alcuni mesi per completare il trasporto e l’installazione e, nonostante un debutto rimandato di qualche mese, il 10 dicembre 2016, i led del tabellone si sono riaccesi di nuovo per segnare minuto e punteggio della partita di campionato Mansfield Town-Colchester United.

Non si trova più a oltre 20 metri di altezza ma a bordo campo, sul lato est dello stadio, di fianco a una piccola gradinata centrale, la Bishop Street End, e domina il terreno di gioco con i suoi 15 m x 6 m di dimensione, che ne fanno il tabellone luminoso più grande del calcio inglese, secondo soltanto (ironia della sorte) a quello del nuovo stadio di Wembley.
Non è certo il primo caso di un oggetto iconico trasferito da uno stadio a un altro ma è una situazione più unica che rara. Solitamente i club trasferiscono da un loro stadio all’altro degli oggetti iconici con funzioni diverse e meno preponderanti, come è il caso dello storico orologio Art Déco passato da Highbury all’Emirates, per l’Arsenal, o la cancellata di ingresso del vecchio Boleyn Ground, oggi nel nuovo London Stadium del West Ham).
Certamente, non si può negare che esista un profondo valore storico intrinseco ad alcune parti di uno stadio. Forse perché esteticamente più rappresentative, preservarle significa trasmettere un’eredità che è parte fondante del significato di quel luogo per le persone, ancor più che farlo per una mera operazione di feticismo della storia.

Soprattutto un caso come questo diventa esemplificativo: un oggetto non particolarmente riconoscibile o riconducibile al vecchio stadio di Wembley, senza saperlo prima, ritrova una seconda vita che non apre solo un tema di memoria sportiva ma, soprattutto, una possibilità di riuso e di vantaggio operativo per un piccolo club dalle possibilità limitate. Quello di Mansfield è un caso di “eredità sportiva” che raddoppia il valore dell’oggetto protagonista e che spiega in modo più ampio il valore che ha uno stadio al di là della sua architettura.
A vent’anni, e 220 km di distanza, un pezzo del vecchio Wembley è ancora operativo. Non riporterà indietro quello stadio ma, a conti fatti, vederlo ancora in funzione è un pensiero confortante.
Questo articolo è stato pubblicato originariamente in formato ridotto, su Archistadia, il 31 dicembre 2016.
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